lunedì 31 marzo 2014

Dalla Turchia alle ambasciate italiane: il fallimento della nostra politica estera

Carramba che sorpresa! I giornalisti dei media italiani, che avevano dato Erdogan per morto politicamente (basta rileggersi l'esilarante intervista di ieri su La Stampa-La Busiarda), stanno arrampicandosi su vetri, specchi e quant'altro per giustificare il nuovo successo di chi, secondo loro, era già stato sconfitto prima ancora del voto. E non ha vinto di misura, Erdogan, nonostante la rivolta (?) delle piazze, le censure, l'oppressione, il regime e tutto ciò che era comparso sui giornali e sulle tv di un'Italia che scambia i propri sogni e le proprie illusioni con la realtà. Non sono bastate le foto taroccate o le riprese ad hoc per trasformare pochi manifestanti in una rivolta popolare. Non sono bastate le interviste zerbinate al leader dell'opposizione - che assicurava di essere davanti nel testa a testa elettorale per Istanbul ed Ankara - per cambiare il dato di realtà: Erdogan piace ai turchi. E visto che a votare sono i turchi e non i giornalisti italiani, il risultato è facilmente spiegabile. E presto toccherà agli ucraini ribadire quale credibilità abbiano i nostri media. A quanto è data la destra di Kiev? All'1%. Un dato facile da memorizzare per il confronto con il risultato finale delle future elezioni. D'altronde il rapporto con l'estero è sempre molto difficoltoso per l'Italia. E se i giornalisti confondono i loro sogni schierati con la realtà, dal governo del burattino Renzi arrivano altri segnali che confermano non solo la scarsa preparazione e l'ancor minore lungimiranza, ma anche la totale incapacità nel distinguere ciò che è becera propaganda con ciò che è utile o inutile per il Paese. Bisogna ridurre le spese, tuona il burattino. Che spreca soldi a palate per farsi bello con il padrone Obama e poi, per risparmiare, pensa di chiudere le ambasciate italiane nel mondo. Un provvedimento che si può anche accettare, purché segua un filo logico e abbia un senso strategico. Invece niente. A cosa servono, ormai, le ambasciate faraoniche a Parigi o a Berlino o negli altri Paesi dell'Ue? A sprecare montagne di soldi. Stipendi su stipendi per pagare la principale attività, cioé l'apertura e chiusura delle tante finestre dei palazzi. E poi feste e ricevimenti. E' lo stesso spreco imputato alle Regioni che aprono miniambasciate a Roma. Per gli italiani nell'Unione europea servono i consolati, punti di aiuto per le emergenze e di risoluzione di problemi amministrativi. Per il resto è sufficiente una sede di rappresentanza e nulla più. Invece si mantengono sedi costose e si chiudono le ambasciate nei Paesi emergenti. Dove, al contrario, la presenza sarebbe fondamentale per approfittare puntualmente della crescita di questi Paesi. E dove, evidentemente, per gli italiani all'estero manca la copertura che esiste in ciascun Paese europeo. Invece si penalizza l'America Latina, si penalizzano Paesi con grandi potenzialità economiche come la Mauritania. Geniale. D'altronde la lungimiranza è facilmente riscontrabile nella gestione degli istituti di cultura italiana all'estero. Troppi soldi e troppo personale, considerando i risultati. Il modello del Goethe Insitut, attraverso il quale la Germania ha iniziato la penetrazione culturale ed economica in ogni Paese, è sconosciuto agli italiani. Che investono meno, e con personale spesso inadeguato, con il risultato che tutti i soldi investiti si trasformano in sprechi. Se non si può investire molto e bene, si può almeno arrivare al poco e bene. Invece si preferisce il poco e male. Ma si accontenta tanta gente, tanti amici degli amici. E poi si finge di contare qualcosa nel mondo, sapendo che non è vero, perché tanto ci sono i giornalisti di servizio a camuffare la realtà.

venerdì 28 marzo 2014

E la Cara Salma insegna la politica estera ad Obama..

Persino la Cara Salma si rivela più intelligente di Hollande e compari. E spiega ad Obama (la Cara Salma, mica il presidente francese) che è una idiozia totale isolare la Russia approfittando della vicenda ucraina. La politica ottuso-fintomuscolare degli americani si scontra contro una realtà che è profondamente cambiata nel corso degli anni, dei decenni. Ciò che resta, sostanzialmente immutata, è la voglia di essere servi di buona parte degli italiani. Cupio servendi che ha contagiato molti europei. La Force de frappe gollista sostituita dai "bobo" parigini della gauche caviar, dalla passione per il jet set di un centrodestra sarkyzzato, dagli scandali a ripetizione. Ma non c'è solo la Francia a prostarsi di fronte all'imperatore d'Oltreoceano. Al di là della storica complicità tra Washington e Londra, anche il Nord Europa pare incaprettato dalla passione per il politicamente corretto imposto dai guru del soft power americano. Wall Street decide cosa è buono e giusto e l'Europa si allinea. In attesa che l'intero mondo si allinei. Peccato, per i servi più che per il padrone, che il mondo non sia proprio così disposto e disponibile ad accettare tutto e tutti. Sparito l'alcolista del Cremlino, lo scenario è tornato ad essere multipolare. Certo, esiste una primazia del Pacifico, con il rapporto a due tra Usa e Cina. Ma entrambi possono contare su protagonisti che, se non globali, lo sono almeno su aree più limitate. I due colossi giocano di sponda, ma possono farlo solo se le sponde esistono. E la Russia di Putin si pone come terzo incomodo. Non ha più la forza - più d'immagine che reale - dell'Unione Sovietica. Ma è pur sempre un attore da non trascurare. Che, grazie alla suicida politica estera dell'Unione europea, si sposta sempre più verso la Cina. Una Cina che a Mosca non è amata, è temuta, ma che nel gioco delle sponde diventa sempre più imprescindibile. I media di servizio hanno stappato vinello a buon mercato per festeggiare la scelta di Pechino in merito alle decisioni dell'Onu sull'Ucraina. Mentre Mosca, ovviamente, poneva il veto contro la propria condanna, Pechino si è astenuta. Non ha votato con gli Usa, ma ai servi era sufficiente che non ponesse il veto. Perché, per loro, significava che la Cina sceglieva Wall Street ed abbandonava Mosca. "La Russia è isolata", gongolava l'imperatore. In realtà Pechino non poteva appoggiare l'autodeterminazione della Crimea perché lasciar liberi i popoli di scegliere il proprio destino avrebbe significato lasciar libertà di scelta ai tibetani o agli uiguri turcofoni. Problemi interni, dunque, non cambio di strategie internazionali. Intanto, mentre il nuovo regime ucraino, tanto libero e democratico, uccide e aggredisce gli esponenti di Pravy Sector dopo aver approfittato del loro impegno e coraggio in piazza Maiden, la Crimea procede verso la tranquilla normalizzazione sotto la bandiera russa. Napolitano l'ha capito, l'imperatore non ancora.

giovedì 27 marzo 2014

La Nasa: la civiltà occidentale è finita

Se la fine dell'Inghilterra è cominciata a Giarabub, la fine della società occidentale dovrebbe essere iniziata da uno studio della Nasa. Riportato da La Busiarda, quotidiano degli Elkann-Agnelli. Lo studio, realizzato appunto da un dipartimento dell'ente spaziale, è sicuramente serio. Basato su parametri oggettivi e su confronti con grandi imperi del passato, da Roma ai Maya, dalla Cina all'India. Ma le conclusioni, del giornale, lasciano perplessi. Perché si tende a confondere la civiltà occidentale con il mondo intero. E se si può festeggiare di fronte all'idea del tracollo dell'impero americano di cui siamo solo sudditi (a proposito: in periodo di spending review, quanto è costato ospitare l'imperatore Obama a Roma, con chiusura di strade, rimozione di auto e cassonetti, blocco delle attività?), avremmo qualche motivo in meno per essere allegri di fronte alla prospettiva di un collasso mondiale, seguito da disatri e catastrofi. Ma forse, come spiegava bene Gaber in un suo pezzo sugli americani, loro confondono se stessi con il mondo, le loro difficoltà con quelle che vorrebbero imporre a tutti. Ed il quotidiano torinese, che funge da portavoce degli interessi di Washington, si allinea subito all'interpretazione americanocentrica. Ma perché la civiltà, questa civiltà, sta finendo? Perché consumiamo troppe risorse naturali e più la tecnologia sforna nuove risorse, più aumenta il consumo. Ogni voltà al di là del dovuto e del sostenibile. E poi aumentano le tensioni sociali, negli Usa e nella brutta copia italiana. Pochi ricchi sempre più ricchi, molti poveri sempre più poveri. L'articolo non lo dice, forse perché non è importante per loro, ma l'ex classe media sta crollando e si schiaccia sui livelli della povertà. Che fare, allora? Primo, ridurre gli abitanti complessivi del Pianeta. Secondo, imporre ai Paesi emergenti di non dotarsi di auto, frigoriferi, lavatrici e di quant'altro rappresenta uno status symbol. Terzo, ma solo terzo, ridurre le diseguaglianze economiche supplicando i super ricchi di distribuire qualcosa. Tre proposte assolutamente irrealizzabili. Forse si può tentare con la prima, magari spargendo per il mondo qualche virus preparato nei laboratori americani. Oppure qualche simpatico intervento umanitario come in Irak, con il corollario di centinaia di migliaia di morti per mano americana. O ancora lasciando che, nell'ex Yugoslavia, la gente continui a crepare per gli effetti delle armi americane ad uranio impoverito (una meraviglia che consente di far crepare anche i militari italiani che erano presenti nella zona). Per il resto le soluzioni sono più assurde dei problemi. Ma estremamente significative: se si chiede ai Paesi emergenti di rinnciare ai prodotti più avanzati dell'industria, è perché Usa e Gran Bretagna stanno abbandonando completamente la produzione industriale, a vantaggio dell'attività puramente finanziaria e commerciale. Produzione solo per il mercato interno. Mentre le auto per indiani e cinesi sono prodotte in Asia, dunque nessun problema a far chiudere le fabriche asiatiche. Oddio, a fabbricare prodotti industriali sono rimasti anche Paesi di servizio, come l'Italia. Ma alla Nasa se ne fregano dei lavoratori italiani. Schiavi delle colonie, si arrangino. Quanto alla distribuzione delle ricchezze, lo stesso giornalista si rende conto che non val neppure la pena di avanzare una proposta di questo genere ai padroni del mondo. Tutt'al più un po' di carità, per non far morir subito di fame gli schiavi, in modo da sfruttarli più a lungo. Ma, in realtà, esiste una quarta via d'uscita. Che è poi l'unica che ha funzionato nel corso dei secoli: la rivolta. Il potere marcio si abbatte, non si modifica. Con rivoluzioni, con invasioni, con guerre civili o di invasione. Ma i criminali con i conti nascosti nei paradisi fiscali non cederanno il potere in modo pacifico. E se questo comporterà la fine della civiltà (ma quale civiltà?) occidentale, non sarà certo un problema per chi ha solo diritto ad un ruolo di schiavo. Perché alla Nasa non lo sanno, ma il popolo schiacciato sempre più verso il basso, a volte reagisce. Come una molla compressa. E se non ha una civiltà da abbattere, si accontenta di abbattere un regime. Oh ça ira, ça ira, ça ira, les plutocrates à la lanterne..

mercoledì 26 marzo 2014

Sinistra leaderista e destra nel caos. Si riparte?

Francia e Piemonte confinano. Ma non in politica. Perché di fronte al successo del Front National transalpino si pone la rissa da pollaio nel centrodestra subalpino in vista delle elezioni regionali di maggio. Eppure qualcosa in comune c'è. E tutta Italia dovrebbe osservare al caso piemontese come ad un laboratorio della niova politica nazionale. Il leaderismo è diventato il segno distintivo della sinistra. E se non c'è il leaderino giovane, come il burattino Matteo, la gauche piemontese mette in campo un vecchio leader della vecchia politica: Sergio Chiamparino, ex sindaco di Torino. Il sindaco che ha reso Torino la città più indebitata d'Italia, che si è circondato di un cerchio magico di personaggi non certo al di sopra di ogni sospetto. Un familismo senza freni, dove c'era spazio per amici degli amici e per parenti ed affini. Tutto vero, ma è altrettanto vero che a Torino, se Chiamparino si ripresentasse, vincerebbe a mani basse. Un sindaco del "fare". Condito con affabilità e, soprattutto, con una macchina dell'informazione e del consenso che andrebbe studiata in profondità dagli avversari (ed anche dai suoi compagni, visto che Fassino ha imparato poco spendendo di più). Ma al di fuori di Torino l'ex sindaco non piaceva più di tanto. Né agli avversari né ai suoi compagni. C'erano, dunque, le possibilità per una vittoria del centrodestra a livello regionale. Ma se la sinistra, priva di proposte ideologiche e pure di contenuti programmatici, vive sull'immagine di un leader, il centrodestra piemontese muore sul nulla cosmico. Leader? Neanche a parlarne. Idee, non pervenute. Gestione della Regione negli ultimi 4 anni di potere? Disastrosa, tra rimborsi demenziali prima ancora che criminali e politiche di sostegno a chiunque arrivasse dai ranghi avversari. Geniale. Però questa situazione disastrosa è estremamente interessante perché è il modello che si ripeterà in Italia con la scomparsa di Berlu. Il partito personale dell'uomo di Arcore brilla per assenza totale. Proposte banali, scontate, ripetitive. Leadership affidata a non si sa bene chi. Con un personaggio come Pichetto bravo e competente e, ovviamente, totalmente privo di una squadra in grado di farlo conoscere, valorizzare, sostenere. E per il resto, il deserto. E gli alfaniani? Tanti, tantissimi colonnelli ma nessun soldato. Tra l'altro colonnelli con storie molto diverse e con idee, quelli che ne hanno, per nulla coincidenti. Con esponenti forti sul territorio di origine, altri conosciuti nelle discoteche e trasformati in guru intellettuali per pochi intimi, altri che lavorano bene ma non sanno comunicare. Chances? Inesistenti. E la Lega? Distrutta dalla vicenda delle mutande verdi da rimborsare, distrutta da candidature indecenti, distrutta dalla chiusura nelle sedi istituzionali. Con l'unica speranza di poter contare sul traino delle europee grazie all'accordo con il Fn francese. Un accordo su cui non possono contare i Fardelli d'Italia. Penalizzati da una realtà romanocentrica che ha lasciato spazio, sul territorio, a chi non ha saputo gestirlo. Le percentuali ridicole delle elezioni politiche lo testimoniano. Una destra che tenta, inutilmente, di conciliare le posizioni sociali di Marrone con quelle liberiste di altri leaderini. Ma con tanti giovani seguaci proprio di Marrone, e questa è l'unica possibilità di sopravvivenza. Dunque, in ordine sparso, l'intera area marcia sorridente verso la sacrosanta sconfitta. Che, finalmente, spazzerà via l'aria viziata ed obbligherà i sopravvissuti ad interrogarsi su cosa vorranno fare da grandi. Obbligandoli a trovare delle idee, delle proposte, visto che non hanno più leader e neppure mezzi leader. Obligandoli a confrontarsi su programmi e non solo sulle discoteche dove trascorrere le serate. E se, in Piemonte, riusciranno a trovare una soluzione, questa diventerà il modello di riferimento per tutta Italia. Perché il finto leader Matteo prima o poi verrà smascherato. E serviranno alternative.

martedì 25 marzo 2014

Eatalyanamente ipocriti

"Vogliamo vendere Barolo e Barbaresco in Bangladesh". Così Oscar Farinetti, patron di Eataly e sponsor del burattino Matteo, ha spiegato la presenza di magliette made in Bangladesh in vendita in quelli che dovrebbero essere i templi del made in Italy. Prodotti cinesi, e va bene, perché Pechino rappresenta un mercato imprescindibile per chi vuole espandersi nel mondo. Ma il Bangladesh? Ciascuno, ovviamente, è libero di rispondere come meglio crede ad ogni domanda. Ma la presunzione di poter prendere per i fondelli gli interlocutori appare davvero fastidiosa. Casualmente è la stessa presunzione che accomuna il burattinaio Oscar al burattino Matteo. Perché tutti sanno perfettamente che ci si rivolge al Bangladesh per produrre magliette ed abbigliamento vario per la semplice ragione che a Dacca il costo del lavoro è bassissimo. Da sfruttamento, ma non si può dire per non infastidire la gauche caviar italiana, così politicamente corretta ed attenta al benessere dei lavoratori purché non siano i propri schiavi. Dacca esporta magliette in tutto il mondo per il prezzo, non perché la Russia voglia esportare caviale, la Francia lo Champagne e la Germania le Mercedes. Ma Oscar assicura di voler portare Eataly in quello che è il 155° Paese come reddito pro capite. Certo, le immaginiamo le lunghe file di radical chic bengalesi in cerca della bottiglia di Barbaresco o di Barolo. Con una giornata di lavoro il bengalese medio può persino sperare di acquistare il tappo della bottiglia. Per il vino dovrà lavorare almeno mezzo mese. Ma non sarà mica un problema per l'uomo che può trasformare i teatri storici in rivendite di cibo italiano e di magliette asiatiche. Ed i lavoratori italiani del settore tessile? Chissenefrega, mica ci deve pensare Oscar. Provvederà il burattino, magari con un provvedimento per deportarli a Dacca. L'importante è che possano aumentare le esportazioni di bottiglie di vini pregiati. E non c'è dubbio che gli spazi di crescita ci siano: le esportazioni di bevande italiane in Bangladesh non raggiungono neppure i 70mila euro. Praticamente nulla. Dunque Oscar, che ha il senso degli affari, ha pensato che i bengalesi stiano aspettando proprio lui, i suoi vini ed i suoi negozi. Peccato, però, che il 90% della popolazione del Bangladesh sia islamica. Ed allora, forse, sarà difficile ipotizzare un tale boom di vendite di alcolici da giustificare l'import di magliette. Ma anche in questo si vede l'arroganza di questa sinistra che sostiene Renzi: Farinetti avrebbe potuto parlare di formaggi italiani da esportare, di pasta, di frutta. Di tutto ciò che può far parte dell'alimentazione gradita ad un islamico molto più ricco della media del Paese. Macché. La gauche caviar non si cura di queste sciocchezze. Lui vuole esportare Barolo e Barbaresco a prescindere. Mentre nelle scuole italiane i suoi seguaci vietano prosciutto e salame per non infastidire gli "ospiti non invitati". E' la sinistra, bellezza.

lunedì 24 marzo 2014

Corsi obbligatori di francese per la fallimentare destra italiana

Era la destra più stupida d'Europa. Ora quella francese si è trasformata nel traino di tutto un movimento che, ad Ovest, ha seri problemi di decollo e rischia una clamorosa sconfitta. Certo, il Front National di Marine Le Pen ha poco in comune con i movimenti nazional rivoluzionari dell'Est. Ma, a parte un'interessante intervista di Pravy Sector su Noreporter, per il momento l'incidenza delle attività in Europa dell'Est non incidono sulla realtà dei Paesi dell'Ovest. La Francia, al contrario, incide eccome. E il Fn fa paura. Tanta paura alla gauche caviar che vota per il nulla Hollande o al centrodestra bollito che preferisce il blabla Sarkozy. Non c'è alcu dubbio sul fatto che Marine Le Pen abbia annacquato, e non poco, le posizioni del padre Jean Marie. Ma il Mussolini del 22 era più annacquato di quello del 19. Perché l'obiettivo è la vittoria, poi si discute. Primum vivere deinde philosophari. Prima vincere, parafrasando il motto latino, e il Fn sta vincendo. E se Marine non è tanto "pura", il vecchio leone non è ancora morto e Marion Le Pen sta crescendo sulla sua scia, non su quella di Marine. Dimostrando, tra l'altro, che dove esistono cervello e cuore è persino possibile creare dinastie politiche di successo. Ed allora diventa opportuno organizzare degli stage di francese per i pessimi politici italiani del centrodestra e della destra. Quelli che hanno paura della propria ombra, quelli che si accodano al politicamente corretto, quelli che si fanno dettare la linea dai media della parte avversa. Quelli che non sanno ringiovanire i quadri anche se, al posto di un vecchio leone come Jean Marie, hanno vecchi cialtroni imbolsiti ad occupare le sedie. Cuore e cervello, generosità ed intelligenza. Tutto ciò che manca in Italia. La farsa delle candidature per le elezioni regionali in Piemonte, la squallida vicenda della lite da comari all'interno dei vertici di Forzitalia. Elettori con nostalgie monarchiche che invocano la successione di sangue tra Berlu ed uno qualunque dei suoi figli. Ma Piersilvio non ci sta, perché si sente più utile a guidare le sue tv dove può parcheggiare figli e parenti vari degli ex leader del Pci e dintorni. E Marina (quella italiana, non Le Pen) non può perché è più utile in Mondadori dove può lanciare autori che sputano su suo padre, sulla sua politica e pure sulla sua azienda. Cuore e cervello. Non si comprano al mercato, e anche se così fosse la destra italiana rinuncerebbe all'acquisto. Perché costa. Così come costano giornali, tv, radio. Meglio rinunciare a tutto, meglio limitarsi al web, gratuito e con collaboratori non pagati o sottopagati. Non infastidire il manovratore. Non infastidire nessuno. Per poi indignarsi con gli elettori se, ad ogni appuntamento con il voto, disertano le urne o scelgono Grillo. A Parigi, ordunque, tutti a Parigi a scuola dalla famiglia Le Pen.

sabato 22 marzo 2014

La rivoluzione o nulla. Chi ha paura del boicottaggio?

Sicuramente è facile mettersi ad analizzare i comportamenti a Kiev di Pravy Sector o di Svoboda, soffermandosi su vere o presunte alleanze inopportune, su risultati insoddisfacenti, sui pericoli futuri. Meglio occuparsi di Kiev piuttosto che dell'Italia. Dove i politici sono impegnati nell'esaltazione servile del burattino di Palazzo Chigi oppure nella guerra intestina per conquistare una sopravvivenza in Parlamento o nelle amministrazioni locali. E gli elettori? Si sentono impotenti, inutili, sconfitti a priori. Sconfitti, ma fingono di non accorgersene, soprattutto dalla propria pigrizia e rassegnazione. Questo è un governo espressione di poteri economici. Non solo le banche o gli speculatori finanziari, ma anche tutto quel mondo imprenditoriale asservito e complice. Un mondo che si sente al di sopra di tutto e di tutti, semplicemente perché tutto e tutti si comportano da servi impotenti. Qualcuno ricorderà la vicenda della Barilla e degli spot con la famiglia "normale". In quell'occasione le associazioni di gay e lesbiche sono scese in campo minacciando di utilizzare l'arma che questo potere economico teme di più: il boicottaggio. Ed immediata è arrivata la retromarcia di Barilla. Senza cortei, senza violenze, senza rivoluzioni armate da piazza ucraina. Semplicemente attraverso la minaccia del boicottaggio. Negli Usa, simbolo di questo potere economico, le associazioni di consumatori hanno un potere immenso di indirizzo dei comportamenti delle aziende. Entrano nel capitale aziendale, spostano i consumi. Da noi la maggior parte delle associazioni occupa il tempo a cercare sovvenzioni pubbliche. Colpa, anche e soprattutto, degli italiani. Di quelli che minacciano fuoco e fiamme, rivoluzioni e calci nel fondo schiena dei Moretti di turno, ma poi non rinunciano ad acquistare il prodotto di una delle aziende colpevoli del disastro italiano. Eppure non sarebbe tanto difficile. La pubblicità prima e dopo il TgMatteo5 consiglia l'acquisto di un'auto, di una crema, di un biscotto? Bene, dal giorno successivo tutti gli aspiranti rivoluzionari boicottano quell'auto, quella crema, quel biscotto. Non si tratta di andare a piedi o di far la fame. Solo di modificare i propri acquisti. Con campagne mirate e rese pubbliche. Eataly sostiene Renzi? Gli anti burattino non devono più acquistare prodotti da Eataly, anche se organizzano una cena e vogliono mettere in tavolo un alimento tipico. Invece si preferisce discettare su Kiev ed acquistare da Eataly, indignarsi per le bugie del pinocchio Matteo e comprare i prodotti delle pubblicità sui media zerbinati di fronte al burattino. La rivoluzione o niente. E visto che la rivoluzione non si fa, tutti ad arricchire Farinetti.

venerdì 21 marzo 2014

Matteo il bugiardo, aumenta tasse e tariffe

Che male c'è a prendere una residenza fittizia per poter votare dove fa più comodo? Oddio, non è proprio correttissimo. E che male c'è nel farsi ospitare a casa di un amico? Nulla, ovviamente. E che male c'è nel ricompensare l'amico con incarichi pubblici nella città in cui si è votato e si è diventati sindaco? Beh, forse qualcosa di male si vede. E che male ci sarà nell'affidare allo stesso amico (#marcocarraistaisereno) qualche incarico a livello nazionale? Il burattino Matteo è appena arrivato e già mostra tutti i vizi della vecchia politica. Nasconde la verità, per poi passare alle menzogne conclamate, protetto dalla squadra di giornalisti di servizio, perfettamente zerbinati. Non aumenteremo le tasse, anzi le ridurremo. E vai con la Tasi. Basta? Macché. Matteo fa il duro con la Merkel, assicurano i servi sui media. Così duro e puro che non è ancora rientrato e già Cottarelli ha predisposto un pacchetto di macelleria sociale. Aumentiamo le tariffe di trasporto locale e dei treni. Però, in cambio, peggioriamo il servizio tagliando corse e collegamenti. Così la Merkel è contenta. E figuriamoci se il pinocchio non avesse fatto il duro sul 3%, da cestinare ma che l'Italia rispetterà per non far arrabbiare l'impaurita Merkel. Ed i pensionati? Che crepino. E tutto il turismo italiano che sopravvive con i viaggi degli anziani nella bassa stagione? Boh, il burattino chiderà lumi alla terrorizzata Merkel. E Cottarelli provvederà. Ma intanto Matteo mette paura anche a Putin. Minacciando durissime sanzioni da parte dell'Italia. Per il momento l'unico che si è preoccupato è Scaroni, amministratore delegato dell'Eni. Perché la controllata Snam ha appena vinto un contratto da due miliardi per realizzare la prima parte del gasdotto Southstream. E con le belle pensate di Matteo, al servizio degli Usa, il gruppo italiano rischia di dover rinunciare al mega affare. Quanto ci perderà l'Italia? Quanti posti di lavoro saranno a rischio? E chissenefrega. Il burattino deve obbedire, dopo aver mostrato i muscoli davanti ai giornalisti di comodo, ed eventualmente Cottarelli troverà il modo per far pagare, agli italiani, gli errori del governo anche in politica estera. L'importante è continuare a mentire con la copertura dei media. Meglio di così..

giovedì 20 marzo 2014

Cottarelli, il bluff strapagato per licenziare

Non c'è dubbio: la montagna di soldi pagata al commissario staordinario Carlo Cottarelli è stata spesa bene. Lo hanno incaricato di rivedere e ridurre la spesa e lui, in cambio della mega somma ricevuta, ha partorito idee davvero geniali ed innovative. Ad esempio gli 85mila esuberi. Ma come mai nessuno, prima del commissario, aveva pensato che licenziando 85mila persone si risparmiano 85mila stipendi? Ma non basta. Una bella stangata sulle pensioni vogliamo prevederla o no? Dopo una vita di lavoro mica si dovranno pagare le pensioni a dei vecchi che, se crepano di fame o di malattia, evitano una bella spesa allo Stato? Con il vantaggio, non da poco, che i vecchi non hanno la forza per andare in piazza a protestare. Così si possono tagliare anche le spese per polizia, carabinieri, finanzieri, guardie carcerarie e forestali. Già, per risparmiare si potrebbe pure destinare i forestali a servizi di ordine pubblico. Tanto le foreste crescono da sole, mica han bisogno di qualcuno che le curi. E poi vogliamo far finalmente lavorare le migliaia di forestali assunti nelle regioni che le foreste non le hanno o le hanno piccine piccine? Certo, considerando che han sempre preso uno stipendio senza neppure entrare in un bosco, diventa difficile pensare che si possano trasformare in solerti tutori dell'ordine pubblico. Ma questo non compete a Cottarelli, non rientra nelle ragioni del suo compenso. Meglio procedere, dunque, con annunci mirabolanti ed interventi che non offrono motivi di entusiasmo. "Si vendono le auto blu", annuncia urbi et orbi il burattino diventato premier. Poi si scopre che se ne venderanno un centinaio su una massa di alcune decine di migliaia. Un bel risparmio, per lo Stato. Considerando che si tratta di auto strausate e poco richieste. Ma è il segnale che conta, nella nuova politica degli annunci senza seguito. "Il vincolo del 3% è anacronistico", tuona il prode Matteo in spregio dell'Europa. E tutti i media di servizio lo riprendono a caratteri cubitali. Poi, però, il burattino aggiunge che il vincolo sarà comunque rispettato, benché anacronistico. Ovvio che la Ue lo ami. Non proprio come simbolo del macho italiano, guascone ed un po' monello, come sostiene lo schieratissimo e renzissimo Gramellini sul quotidiano La Busiarda. Lo amano, gli eurobastardi, perché annuncia rivoluzioni e poi si adegua ai voleri di Bruxelles. Ma in questo modo, con tutti i media italiani zerbinati, toglierà voti ai partiti euroscettici alle prossime elezioni. Intanto Unimpresa avverte che sono oltre 9 milioni gli italiani precipitati nella fascia del disagio sociale. Ed i tagli alle pensioni, le decine di migliaia di esuberi, la Tasi e le altre porcate che i media nascondono, non aiuteranno la ripresa. Che, secondo Confindustria, potrebbe essere ridotta allo 0,5%. Perché lo strapagato Cottarelli forse non lo sa, ma i tagli all'occupazione non producono ripresa dei consumi, della produzione, dell'economia.

mercoledì 19 marzo 2014

Sanzioni contro Putin? Per ora si fa business

La Crimea è Russia. E' tornata alla Russia, come era sempre stato sino all'assurdo regalo di Kruscev che l'aveva fatta diventare ucraina. Ed è tornata alla Russia con un plebiscito, non per pochi voti. Percentuali che, in Italia, verrebbero presentate come trionfali ma che qualcuno, in Italia, considera insufficienti. Qualunque percentuale sarebbe stata insufficiente, per i critici faziosi. Quelli che, ora, sognano sanzioni durissime e purissime contro il dittatore Putin. Già. Il dittatore che, dal Cremlino, osserva i duri e puri politicamente corretti e si diverte per il loro dinamismo inutile, per il girare a vuoto. Sanzioni durissime, invocano le badanti ucraine in Italia, intervistate da TgMatteo su Canale 5. Giusto, non vendiamo più ai cattivissimi russi i nostri prodotti per un valore di oltre 10 miliardi di euro all'anno. Non sono soltanto prodotti alimentari di nicchia o auto di lusso. Nelle nostre esportazioni ci sono, soprattutto, macchinari, tecnologie, impianti. Quante migliaia di posti di lavoro dovremmo cancellare, in Italia, per sanzionare Putin? Per dare soddisfazione ai pruriti senili degli euroidioti che vorrebbero imporre una politica estera ancora più al servizio degli Stati Uniti? Indubbiamente l'informazione, anzi la disinformazione, italiana non aiuta a far chiarezza. Né in merito alla storia della Crimea, né alla situazione geopolitica di questa parte del mondo, né sugli interessi economici in gioco. Il prezzo del barile di petrolio resta sempre elevato, poco sotto i 100 dollari, a volte anche sopra. Ma i disinformatori dei media italiani raccontano che il prezzo è crollato (lo vadano a spiegare ai benzinai, allora) e, di conseguenza, sta per crollare l'economia russa, basata su petrolio e gas. Ignorando, i disinformatori, che per ottenere un barile di petrolio dagli scisti argillosi servono circa 40 dollari al barile. E se si sommano i costi per trasportare il petrolio in Europa ed il guadagno per i petrolieri Usa, si vede che il prezzo finale non può abbassarsi più di tanto. A meno che Obama non scarichi parte dei costi sulle finanze, dissestate, dello Stato. In modo da far crollare il prezzo e rendere la vita difficile ai russi. Difficile che una simile soluzione entusiasmi gli altri Paesi produttori di petrolio. E, per quanto ci riguarda, difficile che una crisi economica russa entusiasmi i nostri esportatori e le migliaia di loro dipendenti. Putin lo sa benissimo. I russi hanno appena rilevato una quota consistente di Pirelli e stanno procedendo con analoghe iniziative in tutta Europa. Compresa la Germania, in prima fila a blaterare contro Mosca ed in prima fila per continuare a fare business. Per questo Putin può sorridere, sempre più sprezzante. Giustamente sprezzante nei confronti di parolai che minacciano sanzioni mentre firmano accordi. E se le badanti ucraine in Italia continueranno a lamentarsi sul Tg Matteo5, a Mosca se ne faranno una ragione

martedì 18 marzo 2014

Programmi per l'Europa? Per il centrodestra non contano

Berlu sì, Berlu no. In Italia, in Europa. Parte la campagna elettorale per le elezioni europee e, come al solito, si evita ogni accenno al programma, alle proposte, alle idee. Il dilemma fondamentale è se Berlu può candidarsi o meno. Come se la sua presenza, nel simbolo, non fosse comunque straprevista. Ma perché? Per far cosa? D'accordo, una bella battaglia sul diritto all'agibilità politica dell'opposizione. E poi bla bla bla. Ma quale Europa vogliono i tifosi di Berlu? E quale Europa vuole lui, il signore di Arcore? In fondo gli italiani, come gli altri europei, sarebbero chiamati a votare proprio per questo. Per disegnare l'Europa degli anni a venire. Non per offrire una passaporto a Berlu in modo che vada a spasso per il mondo come prima. Invece niente. Programmi che restano nella testa degli Dei. E che non vengono comunicati al volgo, perché il volgo conta solo per mettere una croce su una scheda. E mentre i forzitalioti sono impegnati nella fondamentale raccolta di firme su una candidatura, gli alleati-rivali non è che se la passino tanto meglio. Ncd è alle prese con il tentativo di sopravvivenza, ma occupando tre quarti del tempo ad adulare Renzi non è che si conquistino posizioni. Certo, si conservano le poltrone, ma anche alla corte di Alfano dovrebbero aver capito che, forse, prima o poi si tornerà a votare e difficilmente i cortigiani di Matteo otterranno consensi tra chi è contrario al burattino fiorentino. Mentre quelli che, italicamente, sono già saltati sul carro del vincitore in soccorso del nuovo padrone, sceglieranno l'originale del Pd invece della brutta copia alfaniana. E i fardelli d'Italia? Non pervenuti. Troppo diversi i tre leader, troppo distanti le posizioni all'interno. Sono i disastrosi effetti della squallida esperienza di An. Anima sociale e liberista, guerrafondai e pacifisti, ambientalisti e cementificatori. Difficile conciliare tante diversità. Soprattutto quando manca un canale quotidiano che indichi la linea, che comunichi le scelte. Non soltanto ai militanti, ma ai potenziali elettori. Invece si preferiscono i giochini idioti da palazzo in fase di crollo. Inviti patetici alle altre formazioni della mitica area affinché entrino nelle liste comuni di Fdi. In quale posizione? Con quali possibilità? In Piemonte il vertice dei Fardelli ha garantito che le potenzialità elettorali variano dal 4 al 7% (non male come forchetta), ma ci sarebbe da divertirsi nel vedere i criterio con i quali sarebbero messi in lista eventuali candidati di formazioni alleate. D'altronde se non si riesce ad esprimere un candidato comune del centrodestra, come si fa a pensare che le stesse persone sarebbero in grado di guidare una regione? Mentre il candidato del centrosinsitra, Chiamparino, dilaga sui giornali, in tv, presenta programmi, cerca alleanze, illustra progetti. E mentre anche i grillini sono già scesi in campo. Il centrodestra, invece, si interroga. Sul nome di un candidato, sulla notorietà di un altro. In base al concetto che competenze e professionalità non contano nulla, ma che bisogna puntare sull'appeal. La medesima strategia che aveva portato alla fondamentale e vincente candidatura per le elezioni comunali torinesi. Gioventù e tanto appeal. Risultato: la peggior disfatta di sempre contro un candidato della sinistra come Fassino senza appeal e di età avanzata. Il nuovo che non avanza distrutto dall'emblema della vecchia politica. Ma il centrodestra la lezione non l'ha proprio capita.

venerdì 14 marzo 2014

Ma se Renzi è di "destra", perché votare per Forza Italia?

Si sono eliminate le ideologie. Si sono costruiti partiti di plastica o personali. Si è persa ogni connotazione di destra, centro, sinistra. Hanno voluto la confusione più totale. Ed ora non sanno cosa fare, dove andare, con CHI andare. Il TgMatteo di Canale 5 è l'esempio forse perfetto di questo asservimento nei confronti dell'uomo solo al comando. Ma non c'è da stupirsi: il linguaggio del Tg principale di Mediaset era già prima perfettamente identico a quello del burattino fiorentino. Vuoto di contenuti e ricco di frasi fatte, di luoghi comuni, di banalità spacciate per grandi progetti. E il quotidiano di famiglia aggiunge il carico: Renzi presenta un programma di destra. Fantastico! Ma allora perché mai votare per Forza Italia? Per Ncd? Per qualsiasi partito o partitino che stia a destra? Ci pensa già Matteo a rappresentare gli interessi dell'area, visto che ormai si parla solo di interessi e non di ideologie. Tutt'al più sarà Pippo Civati ad aver problema nel sostenere il destro Matteo. Ma il Pd mica si spacca: avere Renzi al potere significa potersi spartire poltrone, poltoncine e strapuntini. In nome di cosa? Boh. In nome dell'appartenenza alla medesima associazione politica. Che, ormai, vale come qualsiasi associazione sportiva, per il tempo libero. Una sorta di bocciofila in grande stile e con grande potere. Dove non contano più le idee ed i programmi, visto che sono intercambiabili, ma solo i nomi degli amici. Un fenomeno che sta caratterizzando la campagna elettorale per le Regionali del Piemonte. Di fronte ad un centrodestra alle prese con le "baruffe chiozotte" (e gli intellettuali dell'area sapranno sicuramente cosa significa, o no?) per la scelta del candidato da opporre a Chiamparino, non pochi esponenti insospettabili del centrodestra hanno già scelto di appoggiare il candidato del centrosinistra. E non solo per la figura dell'ex sindaco di Torino che ora punta alla Regione. Anche i singoli candidati delle varie componenti della galassia centrosinistra stanno già facendo la campagna acquisti. A costo zero, sia chiaro. Non c'è bisogno di pagare né di promettere qualcosa per il dopo. E' tale il disgusto e la rabbia per la gestione della Regione da parte dell'intero centrodestra che diventa facile aiutare chiunque stia dall'altra parte. Perché, se non deve essere un voto ideologico, tanto vale sostenere qualcuno di meno ottuso ed antipatico. Magari anche con la speranza che a sinistra siano più riconoscenti, dopo. Ma anche a prescindere dai riconoscimenti che, d'altronde, non sono mai venuti dal centrodestra. Impegnato, anzi, a sostenere, aiutare, promuovere solo chi stava sul fronte opposto.

giovedì 13 marzo 2014

Rimborsopoli o parentopoli: fuori tutti

Meglio sparire dalla scena politica perché ci si è fatti rimborsare le mutande o perché il marito fa lo scemo con le minorenni? Non è importante il perché. L'importante è che tanta gente esca di scena al più presto e definitivamente. Con le elezioni europee, con le regionali in Piemonte, con le amministrative in tanti Comuni e con le futuribili elezioni politiche qualora il prode Matteo le ritenesse ancora utili (tra 15 o 20 anni). Ovviamente le colpe dei mariti non ricadono sulle mogli, così come quelle dei padri non possono essere addossate ai figli, e viceversa. Purché lo stesso criterio valga anche quando si tratta di meriti. Portare un nome illustre non garantisce che gli eredi siano all'altezza dei genitori o dei nonni. Anzi, quasi mai succede che i discendenti non facciano rimpiangere i predecessori. Ma se qualcuno ha approfittato a lungo, ed immeritatamente, del cognome che porta, allo stesso modo dovrebbe sentire il dovere di abbandonare la ribalta quando una nuova parentela giunge ad infangare tutto e tutti. Invece, in Italia, i parenti scomodi vengono cancellati e quelli utili per la carriera utilizzati a piene mani. Al Nord come al Sud. La cooptazione passa anche attraverso i parenti, non mira soltanto a premiare gli schiavi stupidi ed obbedienti. Poi a certe latitudini si esagera e questo andazzo si trasforma in comportamenti mafiosi, con violenze, minacce ed introiti dal malaffare. Mentre ad altre latitudini ci si comporta nello stesso modo, ma evitando gli aspetti criminali. E tutto procede nella massima tranquillità, tra scambi di favori, promozioni immeritate, concorsi vinti non si sa come (si sa, si sa), lavori affidati ai figli di amici che ricambieranno il favore, nomine in posti di potere che assicurano altre assunzioni di amici, altre commesse, altri lavori. Queste sono le vere incrostazioni che frenano l'Italia. Interi quartieri trasformati, casualmente, dai parenti acquisiti del politico di turno. Ma l'occupazione di città e regioni passa anche attraverso le cose minime. Dalla società di catering all'assunzione dell'autista di un bus, dall'organizzazione di un evento musicale alla redazione delle tavole illustrative di una mostra. Pericoloso lasciar spazio a qualcuno che non faccia parte del sistema. Un minimo granello di polvere rischia di inceppare un meccanismo perfettamente oliato. Questa è la vera casta, composta dai politici che frequentano magistrati che frequentano palazzinari che frequentano giornalisti che frequentano personaggi tv che frequentano funzionari pubblici che frequentano imprenditori. Uno spaccato d'Italia, certo non tutta l'Italia che, invece, viene tenuta rigorosamente al di fuori da questi giochi di potere. Un'Italia a cui rimane solo il voto per spiegare che figli, nipoti, cugini, mogli e mariti devono andare a casa. E nella politica devono entrare persone scelte per le capacità e non per il cognome che portano.

mercoledì 12 marzo 2014

Vuoi il lavoro? Se accetti di morire

"Bisogna valutare i danni accettati dalla legge e quelli inaccettabili". Di fronte al sequestro della Tirreno Power e lo spegnimento degli impianti a carbone, i difensori dell'inquinamento a senso alternato sono subito scesi in campo. Non si deve pensar male, in particolare a quel 39% della società ligure che fa capo a Sorgenia della famiglia De Benedetti. Tra l'altro Sorgenia è alle prese con colossali problemi di indebitamento nei confronti delle banche. Dunque è tutto un mondo industrial-finanziario a muoversi per difendere l'uomo che distrusse l'Olivetti. A proposito di Olivetti: nessuno parla più dell'indagine sulle morti da amianto negli stabilimenti canavesani. Tutto sotto silenzio, quando si tratta di De Benedetti. Eppure si tratta di morti. In Canavese come in Liguria. Perché il problema non è, come fingono di credere i tifosi del "sistema De Benedetti", che è cambiata la sensibilità. Il problema è che ora ci si è accorti che 400 morti sono stati causati dalla centrale ligure, secondo le accuse. Il problema è questo: o si sono sbagliati i magistrati, e le morti non hanno nulla a che fare con i fumi e dipendono invece dalla salsedine, dallo iodio, dal profumo del mare; oppure hanno ragione i magistrati e non è accettabile che 400 persone siano morte a causa dell'inquinamento. Quando il Papa sostiene che non esistono "valori non negoziabili" ma solo valori (dunque tutti sono "non negoziabili", contrariamente all'interpretazione di comodo), si riferisce ovviamente anche al valore della vita umana. Non esiste lo scambio tra morte e lavoro. Perché gli incidenti sul lavoro possono anche verificarsi, per casualità o altro. Ma le morti da inquinamento non sono una casualità, bensì una conseguenza inevitabile se si accetta la logica del profitto a tutti i costi. Magari la Tirreno Power è perfettamente in regola, non con le norme di comodo ma con la realtà dei fatti. Mica sarebbe la prima volta di un clamoroso errore dei magistrati e, ancor prima, dei tecnici che eseguono le analisi. Per le Olimpiadi invernali di Torino, i tecnici pubblici e privati avevano garantito l'assensa di amianto nella zona indicata per la costruzione della pista di bob. Nonostante la popolazione locale avesse sempre sostenuto che l'amianto era presente. Progetti finiti, lavori avviati e scoperta - guarda caso - che l'amianto c'era. Chiuso tutto, nuovo progetto in altra località, aumento esponenziale dei costi e tutti felici e contenti. Ovviamente nessuno ha pagato per l'errore. Dunque possono essersi sbagliati gli accusatori. Ed i 400 morti ci sarebbero stati comunque. Ma prima di scendere in campo a difesa di De Benedetti e soci, sarebbe il caso di aspettare qualche verifica. E, soprattutto, sarebbe il caso di non ricattare i lavoratori: se volete un'occupazione dovete accettare centinaia di morti tra amici e parenti. No, non è uno scambio accettabile.

martedì 11 marzo 2014

La finta carità di Renzi e le tasse vere

Esultate italiani: la Tasi non si paga più. Sparita, cancellata, evaporata. Dai giornali e dalle tv. Perché come massacro dei risparmi delle famiglie italiane rimane assolutamente in vigore. Però i media di servizio se ne sono dimenticati. Tasi? Mai sentita nominare. Si parla e si scrive solo dei 10 miliardi che il burattino metterà a disposizione delle famiglie. Ma dal TgMatteo su Canale 5 ai quotidiani del gruppo De Benedetti, da RaisovietNews24 a la Busiarda, tutti fingono di essersi dimenticati della megastangata che arriverà con la Tasio. Si pagherà più di prima, molto più di prima. In pratica metà dei 10 miliardi che il governo del burattino concederà ad alcuni italiani saranno scippati dalle tasche degli italiani stessi. Una meraviglia. Ma, ci hanno raccontato i pifferai magici dell'informazione di comodo, i soldi dati alle famiglie permetteranno di far ripartire i consumi e, dunque, l'economia intera. Bello, peccato che sia falso. Le famiglie tra cui verranno spalmati i 10 miliardi (che poi saran meno) sono quelle che non riescono più a sopravvivere. E con la carità elargita dal governo potranno pagare le bollette, i pasti dei figli a scuola, gli aumenti delle tariffe imposti dai Comuni. Resterà qualcosa per i consumi? Forse sì. Ma, a quel punto, i consumi che cresceranno saranno quelli dei prodotti di minor qualità e di minor prezzo. Le denunce di un peggioramento delle condizioni di salute e di alimentazione di molte famiglie non sono una novità. Gli anziani hanno ridotto i pasti, i bambini mangiano sempre peggio perché in tavola arrivano prodotti di infimo livello. Frutta e verdura hanno prezzi proibitivi. E l'elemosina del governo potrà, forse, permettere a qualcuno di curarsi, di comprare le medicine. Qualcun altro potrà permettersi un kebab o gli involtini primavera. Ma non è il made in Italy a beneficiare di queste elemosine. Mentre chi acquista prodotti italiani non otterrà più denaro in busta paga, ma in compenso pagherà più tasse con la Tasi. E si ritroverà a dover ridurre i consumi di prodotti nostrani e di qualità. Da un lato la gauche caviar che può permettersi di far la spesa da Eataly, dall'altro la classe media strangolata e spinta verso la povertà. Su queste basi si fonda il rilancio promesso dal burattino. Ed allora tutti felici ad aspettare l'elemosina, fingendo di dimenticare che la Tasi non è stata cancellata se non dalle notizie dei media al servizio del burattino.

lunedì 10 marzo 2014

Destre europee, senza rete non vinceranno mai

Ha sicuramente ragione Gabriele Adinolfi quando esalta il coraggio, la determinazione, magari anche il successo di Pravy Sector, a piazza Maidan. E ha pure ragione quando spiega che non ci si deve fossilizzare sugli incontri dell'ultradestra di Kiev con personaggi che non a tutti piacciono. La politica si fa parlando anche a chi non condivide gusti e scelte. E lo stesso vale, ovviamente, per gli ungheresi di Jobbik accreditati, secondo La Stampa, del probabile voto di un giovane ungherese su tre. Onore e rispetto per chi ha combattuto con coraggio e, forse, ha anche vinto. Però poi emergono i dubbi, i problemi. Certo, Pravy Sector ha dichiarato che l'accordo con la disatrosa Unione europea potrà essere firmato solo sulla base degli interessi ucraini, sul rispetto dell'autonomia ed indipendenza di Kiev anche nei confronti degli eurocriminali dell'economia di Bruxelles. Però gli altri vertici di Kiev sono pronti ad accordarsi con l'Ue a prescindere dai desiderata dell'estrema destra. Chia ha combattuto con coraggio, dunque, rischia seriamente di ritrovarsi emarginato, schiacciato da interessi ben diversi da quelli per cui ha lottato. l'Onore ed il rispetto restano, i dubbi sulle conseguenze pure. Soprattutto sulle conseguenze per l'Italia. La prima conseguenza, sicura, è che ci ritroveremo a pagare miliardi di euro per aiutare le disastrate casse ucraine. In cambio di nulla, ovviamente. Perché a pagare saremo noi, i tedeschi, i francesi, pochi altri. Mentre ad incassare commesse ed intese economiche saranno tedeschi e americani. Non proprio un grande affare. Ma, forse, il coraggio di piazza Maidan risveglierà la dormiente destra italica, quella che passa le acque a Fiuggi nell'indifferenza generale o quella che si accorda con Berlu sperando in uno strapuntino. Tutto può succedere, certo, ma le propabilità del risveglio sono minime. Anche perché, sino ad ora, le ricadute italiane del risveglio internazionale proprio non si son viste. L'Ungheria che ha sfidato Bruxelles, la destra e l'estrema destra di Budapest, cosa hanno organizzato a livello internazionale per coinvolgere le forze alternative italiane? E da Pravy Sector quali segnali arrivano di una collaborazione, concreta, con le stesse forze alternative? Il male non tanto oscuto ma chiarissimo delle destre europee è sempre stato lo stesso: ciascun per sé e non sprecarsi oltre qualche applauso o invito a cena. Una strategia comune? Un'iniziativa congiunta che vada oltre la presentazione di un libro? Per trovare una sponda in Italia, il Fn francese ha dovuto puntare sulla Lega Nord. Jobbik e Pravy Sector si entusiasmeranno per l'assise di Fiuggi? Per la tattica di Storace? Per le iniziative culturali dei gruppi che sono al di fuori dei partiti? Esistono analogie tra l'estrema destra dell'Est ed i russi: l'incapacità totale di passare dalla fase muscolare alla politica del soft power. Anche laddove le destre, nelle varie forme, sono arrivate al potere, sono state sconfitte proprio sui progetti culturali, politici, di inserimento. Jobbik lavora bene, ma non esce dai confini. Il Fn diventerà forse il primo partito, ma è privo di una dimensione che vada oltre i confini nazionali. Manca, totalmente, la capacità di far rete. E gli avversari, i nemici, sanno sempre approfittare nel migliore dei modi di queste carenze. Improbabile che sia la destra italiana a farsi carico del problema per acquisire un ruolo strategico: incapaci di mettersi in rete (non insieme, che è un'altra cosa) sul territorio nazionale, incapaci di lasciare a casa i responsabili delle peggiori sconfitte, non hanno alcuna qualità per guidare un processo che sarebbe fondamentale. E che, se non attuato, rischia di trasformare ogni successo in un fuoco di paglia.

mercoledì 5 marzo 2014

La grande bellezza? No, il grande schifo dell'Italia odierna

Ma perché l'Italia ha esultato per l'Oscar a "La grande bellezza"? Giusto che abbiano festeggiato i critici del settore, di fronte ad un ottimo film. Giusto che esultino regista ed attori, anche i produttori. Ma gli italiani? Festeggiano per la statuetta come per un goal? Andrebbe ancora bene. Il peggio, però, è arrivato dai commentatori politici e sociali, dai politici, dagli opinionisti: l'Oscar è un premio all'Italia che ce la può fare, alla bellezza di un popolo. Peccato che il film, giustamente, parli d'altro. La bellezza che compare è quella lasciata dagli antichi romani - anche etnicamente molto ma molto diversi da quelli attuali - dal Rinascimento e dai Papi, persino dai Savoia e, per ultimo, dagli architetti di Mussolini. Poi basta. Non c'è altra bellezza nel film di Sorrentino. Tantomeno a livello delle persone. Non è solo bruttezza umana, è proprio uno schifo. Questa è l'immagine dell'Italia premiata in America: inutili parolai, gente mediocre, cinici, cattivi, egoisti. Gentucola, altro che un popolo pronto a risollevarsi. Un atto di accusa, il film, non un segnale di riscossa. Qualcuno degli intervistati ha pure detto che la realtà è decisamente peggiore rispetto a quanto descritto nel film. Bene, anzi male. Si può essere grati al regista per non aver infierito, ma non ha alcuna importanza. Perché il dato di realtà resta comunque questo. Si può sognare la ripresa di un Paese la cui classe dirigente è impegnata ad autoincensarsi su qualche terrazza romana, nascondendo la propria pochezza? E se si passa dalle terrazze romane ai salotti milanesi, alle cenette torinesi o alle pizzerie napoletane, la situazione non cambia. Questa classe dirigente fa schifo. Ha ragione Grillo quando urla che sono tutti morti. Politici, intellettuali, imprenditori. Certo, poi emergono individui che creano un film in grado di vincere l'Oscar. Una nuova classe dirigente? Ma neanche per sbaglio! Semplicemente un gruppo di individui di qualità. Ce ne sono altri, molti altri. In tutta l'Italia. Ma restano un'infima minoranza che resta schiacciata dall'infinita bruttezza di un Paese allo sfascio. Imputridito, maleodorante. Che lascia andare in rovina Pompei come qualsiasi parte del territorio. Perché il problema fondamentale è la legge elettorale, è la posizione di un ministro sulla vicenda ucraina, è l'incapacità di gestire il caso indiano. Un'Italia che, come uno scolaretto un po' ritardato, deve fare i compiti a casa sotto il controllo di una maestrina arrogante ed ignorante. La grande bellezza? Sì, quella di un'Italia antica che vomiterebbe vedendo gli italiani di oggi.

martedì 4 marzo 2014

Ucraina, tra arroganza Usa e ignoranza russa

Una gara a chi sbaglia di più, quella che si sta svolgendo in Ucraina. Dove i popoli, almeno due popoli, non vengono presi in considerazione. La rivolta (perché la rivoluzione è tutt'altra cosa) a Kiev è iniziata perché il presidente ucraino era un oligarca ladro. Vero. Ma cosa ci facevano, in piazza, i membri pagati delle ong occidentali? E la scelta di accelerare i tempi, per approfittare dell'immobilità imposta a Putin per i giochi olimpici di Sochi, non era solo una mossa per spiazzare Mosca fregandosene totalmente delle motivazioni, reali, della piazza? Ma la culona di Berlino, il suo amichetto puttaniere di Parigi e l'impacciato complice di Washington erano convinti che, di fronte al fatto compiuto di una defenestrazione illegittima, Putin avrebbe abbozzato. Tanto per evidenziare come i tre Paesi siano guidati da dilettanti allo sbaraglio, ignoranti quanto presuntuosi. Così hanno fatto liberare la sedicente leader dell'opposizione ucraina, ormai completamente sfiduciata per aver rubato tanto quanto Yanukovic, e l'hanno anche miracolata: dalla sedia a rotelle con cui è comparsa in piazza alle corsette del giorno dopo. Anche per Lazzaro era occorso più tempo. E poi, gli occidentali, hanno imposto un governo assurdo, al servizio non del popolo sceso in piazza ma delle banche e degli interessi stranieri. Potevano accontentarsi di vincere? Certo che no. Gli idioti volevano stravincere. E hanno imposto l'eliminazione del russo come seconda lingua ufficiale. Tanto per offrire l'alibi a Putin per un intervento. Perché tutti sapevano benissimo che, nell'est dell'Ucraina, il russo è la prima lingua per la stragrande maggioranza della popolazione, con percentuali che oscillano dal 60 ad oltre il 90%. Perché una simile decisione? Per dare una lingua comune ad una nazione che non esiste e che si deve formare, spiegano i romantici che nelle piazze di Kiev hanno sfidato manganelli e proiettili. Perché il nuovo leader è una specie di Fini locale, ironizzano quelli che conoscono la politica ucraina ed italiana. Per sfregio a Mosca, hanno valutato i russi, sia di Russia sia quelli in Ucraina. Perché l'Ucraina, non andrebbe dimenticato, è stata la culla della Russia di Mosca. Ma Obama, Hollande e Merkel mica lo sanno. Dunque era inevitabile che Putin intervenisse per tutelare i russi d'Ucraina. Anche perché l'Occidente furbetto gli aveva appena rifilato un altro schiaffo morale, permettendo ai kosovari albanesi di farsi una nazionale di calcio e di farla giocare in uno stadio di una città a forte presenza serba. Tanto per ribadire che l'Occidente se ne frega delle sensibilità altrui, ma impone a Putin di rispettarle. Poi, però, emergono gli errori di Mosca. Mentre le ong occidentali investono soldi e uomini per imporre la propria linea ad Est o in America Latina, la Russia non è capace di fare altrettanto. Niente soft power, nessun investimento per far conoscere, apprezzare ed amare la Russia. Quattro mignotte ed un po' di vodka in omaggio agli imprenditori occidentali con cui i russi fanno affari. E basta. Come spendono i soldi le ambasciate ed i consolati di Mosca nell'Occidente? Male. Malissimo. Soldi sprecati. Eppure quando Mosca era ancora la capitale dell'Urss utilizzava bensissimo il soft power. I centri di amicizia italo-sovietica pullulavano in Italia (basta chiedere alla signora Clio) e non solo in Italia. L'Urss sapeva che la cultura è un veicolo prezioso. La nuova Russia crede di più nelle mignotte. Forse si sbaglia.

lunedì 3 marzo 2014

Tasi massacrante? l'Italia applaude

Bravo Matteo! Il burattin toscano è perfettamente consapevole che questa Italia di schiavi gli perdonerà tutto, a lungo. Grazie ai quotidiani schierati, come Repubblica e La Stampa. Ma grazie anche ai media obbligati a farlo per i supremi interessi del Berlu. Così il Tg5 si è trasformato in TeleMatteo, con peana ogni mattina e con la sordina alle iniziative non proprio esaltanti del giovin signore fiorentino. Ed allora Matteo va giù pesante. Impone come sottosegretaria una indagata ("Non lo farò mai", aveva assicurato), aumenta la tassazione sulla benzina ("ridurrò le tasse", aveva giurato), si scatena con la super Tasi che massacrerà definitivamente le piccole imprese a partire da quelle del commercio ("rilancerò l'economia", aveva promesso). E le reazioni? Timide, a bassa voce, quasi inesistenti. Già, attaccare il prode burattino è politicamente scorretto. Dunque si incassa in silenzio. Oddio, ad incassare è Matteo, gli altri devono pagare, e senza protestare. Perché il burattinaio Serra potrebbe prenderla male ed imporre qualche altra stangata. Così, tanto per vedere l'effetto che fa. Mentre Oscar, il suo nume eatalyano, non si preoccupa più di tanto: la sua è una clientela radical chic, la gauche caviar, mica si fa impressionare da qualche migliaio di euro in più da pagare. Mentre il rottamatore prosegue sulla sua strada. Guerra agli anziani (se crepano è meglio perché così si risparmia, un'idea da vero scout), salari da fame per i giovani, emigrazione obbligatoria per chi è senza lavoro. Massì, qualche anno in miniera in giro per il mondo sarà l'opportunità ideale per i neo ingegneri. Ed i neo laureati in facoltà umanistiche? Mica li possiamo mandare ad occuparsi di Pompei in fase di crollo o delle altre bellezze artistiche in ogni parte d'Italia. No, spediamoli a fare i braccianti in Africa, al magro soldo di qualche padrone cinese trasferito nel Continente Nero. E tutti ad applaudire l'innovatore. Felici di far la fame, felici di veder smembrare le proprie famiglie, felici di scoprire che tutti i soldi spesi per far studiare i figli sono stati completamente inutili. Lo vuole il mercato, lo vuole Serra, lo vuole il burattino. Dunque esultiamo, allineati e coperti. Il governo dei giovani farà miracoli. Perlomeno in talia. Già, perché il neoministro degli esteri italiano ha imposto ai russi di non entrare in Crimea ma Putin non ha obbedito: cattivo, o forse non conosce Mogherini..

sabato 1 marzo 2014

Governo: sottosegretari da prima repubblica

Non c'è dubbio: il burattino Matteo è davvero il nuovo che avanza. Così nuovo da scoprire, giusto ieri, che la disoccupazione in Italia è a livelli "terrificanti". Tutti gli altri italiani se n'erano accorti da un pezzo ma lui, il burattino, aspettava che i dati glieli confermasse il burattinaio Serra. Ora è ufficiale: i dati sono terrificanti anche per Matteo. Sono spariti quasi 500mila posti di lavoro, grazie anche alle demenziali riforme della Fornero. Sì, quella del governo tecnico guidato da un certo Mario Monti, di Scelta Civica adesso. Dunque che fa il nuovo che avanza? Per punire i responsabili del disastro li imbarca nel governo. Sono tecnici, non hanno capito nulla, dunque che continuino a governare ed a far danni. Tanto mica li pagano loro, i disastri. Ma il nuovo che avanza si vede soprattutto nei comportamenti personali, nella correttezza, nelle scelte oculate. Si può scegliere come sottosegretario alle Infrastrutture un senatore accusato di aver bloccato l'uscita di un giornale che riferiva di un'inchiesta sul figlio del politico? Certo che no, lo avrebbero fatto solo i tristi protagonisti del teatrino della prima repubblica. Renzi, il nuovo che avanza, queste cose non le fa. O forse sì? Sì, le fa. Ma nel teatrino della prima repubblica avrebbero nominato come sottosegretario alla Cultura persino un'indagata per peculato. Una esclusa per questo dalle liste per le regionali in Sardegna, esclusa dalla giunta perché il neo presidente sardo - che è una persona per bene - non vuole indagati nella sua squadra. Un tempo, nella prima repubblica, si sarebbe salvata l'indagata con qualche poltrona al governo. Tempi squallidi, per fortuna cancellati. O no? No, il nuovo che avanza ha deciso che l'europarlamentare sarda va recuperata. Cacciata dalla Sardegna - gente seria, i sardi - approda a Roma. Per la sua grande competenza, ovviamente. Beh, non proprio. Lei assicurava di essere competente in materia di sanità. Dunque Matteo, che premia le professionalità, l'ha destinata alla cultura. Che si siano aggiunte alcune lettere nella scelta? Lui aveva parlato di cura e i suoi scherani hanno aggiunto "ult". Da cura a cultura. Non si spiegherebbe in altri modo questa scelta che contraddice tutte i buoni propositi del leale boy scout. Parola di scout, si diceva un tempo. Prima che nascesse #Enricostaisereno, probabilmente. Ora la parola di scout pare valga molto ma molto meno.