mercoledì 26 ottobre 2016

Il Friuli Venezia Giulia boccia la Serracchiani, nel silenzio generale

Non se n'è accorto quasi nessuno al di fuori del Friuli Venezia Giulia. Ma nelle elezioni della scorsa domenica il Pd, che guida in modo disastroso la Regione autonoma con la Serracchiani (più interessata alle vicende romane che a quelle del suo territorio), ha incassato qualche sonoro schiaffone. Sconfitta secca a Ronchi dei Legionari, dove non c'è il ballottaggio, sconfitte a Codroipo e, soprattutto, nell'ex rossa Monfalcone. E proprio a Monfalcone il centrodestra ha sfiorato la vittoria al primo turno, con il 49,5%. Non è detto che basti per vincere al ballottaggio, così come è a rischio anche il risultato di Codroipo. Ma si tratta comunque di segnali chiari. Come quelli dei risultati della scorsa primavera, quando il Pd serracchiano era riuscito a perdere sia Trieste sia Pordenone. Non male per una donna al vertice nazionale del partito, fedelissima del bugiardissimo. Evidentemente il segnale primaverile non è stato compreso. E non sembra sia stato capito neppure quello autunnale. Di fronte al disagio crescente della popolazione friulana e giuliana, le proposte del governo regionale restano sempre le stesse: aiuteremo e finanzieremo i Comuni che accettano i migranti. Un po' poco, indubbiamente. Difficile, però, attendersi molto di più, considerando il vuoto pneumatico dei discorsi della Serracchiani nella sua veste di vice segretario nazionale del Pd. Lei, tuttavia, insiste. Insiste soprattutto nelle presenze a Roma. D'altronde è romana ed il Friuli Venezia Giulia appare sempre di più una seconda scelta. Una periferia poco interessante e lontana dai riflettori che offre il palcoscenico romano. Pazienza, dunque, se la Regione autonoma ottiene risultati molto meno brillanti rispetto al vicino Trentino, pazienza se l'economia ristagna ed i problemi crescono. La ricetta è una sola: soldi in cambio di migranti. Per creare, in questo modo, un'occupazione alle cooperative di area. Mentre i problemi strutturali possono aspettare. Possono aspettare, soprattutto, un presidente regionale più attento al territorio e meno attratto dalle luci romane. Possono aspettare progetti, idee, realizzazioni. Una sfida anche per il centrodestra che si è rafforzato in queste amministrative. Perché è stato conquistato un voto frutto soprattutto della delusione per la Serracchiani. Costruire un'alternativa che si trasformi in un modello vincente per la Regione e anche per il resto dell'Italia potrebbe non essere facile. Si valuterà la capacità di fare rete, di fare sistema. Di cambiare il modello culturale per procedere ad un radicale cambiamento sociale.

martedì 25 ottobre 2016

E nel Delta esplose la rabbia..

Sino a ieri Goro era nota ai più per essere la patria di Milva. Altri conoscevano il paese del Delta per i pescatori e per l'ottimo pesce che si poteva acquistare a cifre ragionevoli. Ora Goro e la vicina Gorino sono diventate il simbolo della rivolta popolare contro l'arroganza del potere sulla questione dell'invasione senza freni. Una questione di principio, in questo caso, più che un problema di ordine pubblico. Perché nel Delta del Po erano destinati pochi migranti, donne e bambini. Dunque nessuna paura da parte degli abitanti. Ma la rabbia perché il prefetto ha deciso senza avvisarli, senza un confronto. Li ha considerati sudditi che dovevano ubbidire e non cittadini che dovevano essere informati e che dovevano condividere una decisione. Questioni di principio e in Italia non si è più abituati a lottare per difendere un principio. Oddio, ormai non si lotta più neppure per questioni di denaro. Schiacciati dalla rassegnazione, dal conformismo, dalla paura di essere additati come razzisti, oscurantisti, retrogradi, sessisti (l'accusa dipende dall'occasione), da un'accozzaglia di giornalisti di servizio che poi si chiedono pure il motivo del crollo delle vendite dei loro giornali. A Goro e Gorino, invece, hanno avuto il coraggio di dire di no. Magari nei prossimi giorni, per evitare le solite accuse, faranno marcia indietro ed accoglieranno le nuove risorse, magari con fiori e giocattoli. Perché la gente del Delta ha un grande cuore. Ma ha anche un grande carattere. Nessuno, da queste parti, è così povero da non potersi permettere un coltello, scriveva tanti anni fa Bacchelli. Era il Mulino del Po, lettura probabilmente ignota al bugiardissimo ed a qualche suo prefetto. Lettura consigliata a lorsignori. Perché Goro potrebbe essere solo un episodio. Oppure potrebbe essere il primo segnale di una misura che ormai è colma e rischia di strabordare. Nel Delta sono abituati a confrontarsi con le piene e le rotture del Po. Non è detto che il bugiardissimo e la sua banda siano pronti ad affrontare l'emergenza di una esondazione della rabbia popolare che dovesse diffondersi. E non basteranno le auto censure dei giornali di servizio. O delle tv di regime. In Francia la rivolta sta cominciando ad allargarsi, nonostante la mancanza di informazione ufficiale. Ed il pesce di Goro potrebbe finire sulla faccia dei responsabili di questo disastro.

lunedì 24 ottobre 2016

L'Europa stanca del bugiardissmo. Ma senza alternative

A parte i giornalisti italiani di servizio, ormai le continue menzogne e promesse a vuoto del bugiardissimo hanno stancato tutti. Persino i complici delle sue malefatte, a Bruxelles. Irritati per le slides basate esclusivamente sulla buona stella di uno che, in più di una occasione, ha portato una sfiga tremenda. Non una proposta seria che sia una. Non un progetto credibile. L'Italia delle balle. Che procede imperterrita nella convinzione di poter ottenere tutto perché l'Unione europea è allo sbando e non ha il coraggio di scontrarsi contro l'Italia. E allora sui quotidiani di servizio si intervistano politici dei Paesi che, con la loro politica di difesa dei rispettivi popoli, mettono in difficoltà le scelte del bugiardissimo per tutelare gli incassi delle cooperative rosse e bianche legati all'invasione. Ed i politici intervistati vengono presentati, dai giornalisti di comodo, come esponenti di partiti in fortissima crescita e di grande peso. Peccato che nei Paesi in questione abbiano un peso irrilevante e percentuali da prefisso telefonico. "Ma il popolo è con noi", assicurano. Quel popolo che poi, alle urne, garantisce il trionfo dei partiti definiti populisti. Il bugiardissimo, però, non se ne cura. A lui basta poter contare sul servilismo dei giornali e delle tv. E poi conta su un altro aspetto certo non irrilevante: i media sottolineano in ogni occasione che non esisterebbero, in Italia, alternative credibili al bugiardissimo. Né all'interno del Pd, che resta comunque il partito di maggioranza nell'attuale parlamento, né tra gli schieramenti dell'opposizione. In questo la banda del bugiardissimo gioca sul sicuro. Il popolo bue italiano non vota proposte, progetti, strategie. Vota per darsi un padrone. Non importa che sia un bugiardo, che sia arrogante, che usi le persone per poi gettarle quando non servono più. E' un padrone e tanto basta. Mentre il povero Bersani, parlandone da vivo, assomiglia a Sor Tentenna. E D'Alema è di una antipatia tale da nasconderne l'intelligenza. Di certo non ci si può affidare a Fiano, l'unico a far impallidire D'Alema sul fronte dell'antipatia. Ma se nel partito di maggioranza manca un leader, va anche peggio nell'opposizione. Di Maio si è bruciato, Dibba è simpatico ma poco credibile come lider maximo, l'unico sarebbe Grillo ma non corre. E non può certo essere un leader un personaggio moscio come Parisi. O Salvini che si limita agli slogan perché si affaticherebbe troppo a pensare ad una serie di proposte. O lady Garbatella che ignora il mondo oltre il raccordo anulare. E' l'offerta politica alternativa che aiuta il bugiardissimo. Dopo di me il diluvio. Non si può certo pretendere che siano i giornali di servizio a spiegare che un diluvio sarebbe auspicabile in Italia per lavare le troppe porcate di ogni giorno.

martedì 18 ottobre 2016

I giovani italiani sono poveri: eliminiamo i vecchi

Caramba che sorpresa! Giornali e TV scoprono, all'improvviso, che i giovani italiani sono poveri. Se i giornalisti rinunciassero agli incontri a tavola con i cialtroni che loro definiscono come Vip, forse se ne sarebbero accorti da tempo. Invece tra una serata ad intervistare cafoni arricchiti alla prima della Scala o del Regio, tra un vernissage a base di tartine di un artista che non andrebbe bene neppure come imbianchino, tra un omaggio a Maria Elena Etruria ed uno a Donna Marella, i disinformatori italiani non si erano accorti di quanto stava succedendo nella Penisola. Troppo impegnati negli hotel a 4 stelle che ospitano i clandestini per rendersi conto che i giovani italiani gli hotel a 4 stelle non possono più permetterseli. Troppo impegnati a raccontare le difficoltà dei clandestini che sono obbligati a trascorrere il tempo a giocare con gli smartphone pagati dal contribuente italiano per accorgersi che il contribuente italiano non ha neppure i soldi per curarsi. Ma ora i giovani italiani servono perché devono andare a votare Sì al referendum del bugiardissimo. Dunque bisogna far finta che contino davvero, che suscitino interesse, che si voglia far qualcosa anche per loro. Tanto siamo in fase di promesse elettorali. Dunque, in attesa di eventuali reazioni europee, si può promettere tutto a tutti. Però, come sempre, in cauda venenum. Ed il TgRenzi5 ha già iniziato a far notare che i giovani sono più poveri degli anziani. Dunque urge manovra per impoverire i vecchi in modo da ripristinare la parità. Anche perché i giovani servono come schiavi, come manodopera a bassissimo costo. I vecchi non servono a nulla e,  anzi, sono dannosi. Perché si ammalano e avrebbero bisogno di cure adeguate, che costano. Perché pesano sui conti dell'Inps. Perché hanno la pessima abitudine di aiutare economicamente i nipoti. E se i nonni li aiutano, i nipoti non sono così disperati da accettare le retribuzioni da fame dell'Italia renziana.

lunedì 17 ottobre 2016

Trump e il centrodestra italiano: uniti nell'incapacità di comunicare

Secondo il direttore de La Stampa, Trump sta perdendo terreno nei confronti della pazza sanguinaria perché il clan Clinton ha messo in campo una fortissima squadra di comunicatori e disinformatori. Non è certo un problema economico, perché Trump potrebbe permettersi di investire altrettanto benché non abbia alle spalle le lobby che sostengono il clan della pazza. Eppure non riesce a contrastare l'offensiva mediatica. Una situazione analoga a quella italiana. Dove il fronte del Sì al referendum ingaggia l'immancabile guru statunitense strapagandolo. E il fronte del No, sulla destra, si rivolge a Brunetta. Meno male che, la scorsa estate, Di Battista si è inventato il viaggio dello scooter a imitazione del viaggio della motocicletta di Che Guevara. Ma sul centrodestra il buio e' assoluto. E ripropone il consueto scenario di incapacità di confrontarsi con l'informazione. A sinistra si investe e, quasi sempre, si fanno buchi colossali di bilancio. Ma si vince. Nel centrodestra si preferiscono tagli e sfruttamento. E si fanno gli stessi buchi di bilancio ma si perde. Una recente indagine ha rilevato come i giornalisti siano in genere molto più a sinistra rispetto ai loro lettori. Non è certo un caso. Gli editori che pagano retribuzioni normali sono a sinistra, sul fronte opposto il modello - quando va bene - e' Foodora: già ti permetto di scrivere, perché dovrei anche pagarti? Così sopravvivono micro nicchie, magari di qualità, ma sempre micro nicchie. Mancano progetti editoriali credibili perché mancano gli investitori. Meglio una villa in più che un investimento per un quotidiano, magari online, di successo. E quando tra le nuove leve spunta un giornalista bravo e non di sinistra, si grida al miracolo ma poi prevale l'imbarazzo perché non si sa cosa fargli fare. O meglio, si saprebbe anche come impiegarlo, a patto che non pretenda di essere pagato. Inevitabile che venga fagocitato da editori del fronte opposto. Ma vale anche per piccole realtà nel campo del cinema e della TV. Con grandi professionalità ma costretti a lavorare per schieramenti opposti. D'altronde è più facile lamentarsi per l'esistenza di un complotto delle lobby editoriali piuttosto di aprire il portafoglio e pagare chi sa lavorare

sabato 15 ottobre 2016

Salone del libro in salsa al caviale. E la cultura emigra ad Acqui

Il Salone del libro bobo e' stato apparecchiato. La grande rivoluzione torinese ha preso spunto dalle indicazioni di un libro, il Gattopardo. Tutto è stato cambiato affinché nulla cambiasse. Nicola Lagioia e' il nuovo direttore, nella certezza che sarà impossibile far peggio di Milella. Ma nel solco di una tradizione che vuole il Salone di Torino gestito dall'immancabile gauche caviar, da quei radical chic che hanno trovato in Lagioia l'interprete ideale. Le aperture annunciate? Non si sono viste. Ad affiancare il nuovo direttore arrivano i soliti noti del solito giro. Intanto oggi ad Acqui si confrontano con il pubblico i rappresentanti di una cultura che supera gli angusti confini dei bobo torinesi. Nomi che magari si incontrano anche al Salone del Libro, da Sgarbi a Battista, ma altri che non sono particolarmente amati dai radical chic, come Solinas o Yves De Gaulle. Tutti presenti per ricevere i premi dell'Acqui Storia che continua a crescere, in Italia ma sempre più anche in Europa, nonostante i continui tagli del budget. I soldi erano il doppio quando i partecipanti erano 20. Ora superano i 200 ma le risorse sono state tagliate da quegli enti pubblici che preferiscono spendere per garantire il pensiero unico al Salone del Libro. Enti che evitano accuratamente di coinvolgere gli organizzatori dell'Acqui Storia nella gestione del Salone: troppo elevato il rischio di apertura mentale, di pluralismo, di confronto tra idee differenti.

venerdì 14 ottobre 2016

Monsu Bergoglio, il super esperto di ipocrisia

Monsu Bergoglio, in arte Papa, accusa di ipocrisia i cristiani che si sono stufati di accogliere i migranti. E se lo dice Monsu Bergoglio bisogna credergli. Non perché di mestiere faccia il Papa, ma perché di ipocrisia è un fine intenditore. Praticamente un maestro, il vero numero 1. Dovrebbero metter su una compagnia teatrale, lui ed il bugiardissimo: una coppia da far impallidire Tognazzi e Vianello. Già, perché Monsu Bergoglio pontifica (è il suo mestiere) sui bambini di Aleppo ma, nel nome della più professionale ipocrisia, ignora completamente i bambini massacrati nello Yemen dall'aviazione saudita con il sostegno degli Stati Uniti. Eh sì, per Monsu ci sono bambini e bambini. E quelli dello Yemen sono meno bambini degli altri. Anche se vengono massacrati mentre partecipano al funerale di loro coetanei. Ma il numero 1 degli ipocriti resta anche in silenzio quando i migranti, in gruppo, stuprano una ragazza italiana. E resta in silenzio davanti allo spaccio di droga gestito da altri migranti. Davanti a due anziani siciliani massacrati da una grande risorsa. Attacca gli italiani perché accusano gli zingari di vivere di furti, ma resta in silenzio di fronte alle tonnellate di refurtiva ritrovate nei campi di questi "fratelli nomadi". Un'indignazione a comando, a giorni alterni e, soprattutto, indirizzata in un unico senso. Con gli edifici di proprietà della chiesa aperti per accogliere i migranti ma chiusi quando si devono accogliere i senza tetto italiani. E non si sono sentite le parole indignate del Papa quando un italiano è morto in un pronto soccorso dopo 56 ore di agonia in mezzo a tutti. Perché i soldi per curare gli italiani poveri non ci sono più: i soldi servono per chi arriva da fuori. Ma è muto, monsu Bergoglio, anche di fronte ai problemi di alimentazione e di possibilità di cura dei bambini greci. Anche loro, evidentemente, ipocriti che pretendono di mangiare invece di rinunciare a tutto per accogliere in hotel a 4 stelle i nuovi fratelli.

giovedì 13 ottobre 2016

I soldi per rimpatriare i clandestini ci sono, ma servono schiavi

Questa volta scende direttamente in campo l'Europa per smascherare le balle pre referendum del bugiardissimo. Il premier ha accusato l'Ue di immobilismo sul problema dei migranti e il direttore della Guardia costiera e di Frontiera della Ue (una sorta di Frontex ma con maggiori poteri) ha immediatamente replicato ricordando che "le risorse economiche per gestire i rimpatri non mancano". Dunque i clandestini potrebbero essere immediatamente espulsi e riaccompagnati a casa loro, scoraggiando altre partenze ed altre morti. E viene ricordato che lo scorso anno, su 154mila arrivi "ufficiali" (chi è arrivato senza farsi intercettare non rientra nei numeri) solo 30mila hanno ottenuto la protezione internazionale. E gli altri? Ne sono stati rimpatriati ben 3.688, poco più del 2%. Perché? Per le decisioni nazionali, ricordano alla Guardia Costiera. E quali siano le scelte italiane è stato ben chiarito da Franco Debenedetti nel corso della trasmissione La Gabbia di Paragone. Di fronte all'indignazione generale per le retribuzioni da fame concesse da Foodora ai ciclisti che trasportano il cibo a domicilio, Debenedetti si è indispettito, infastidito, ha strillato. Non si tratta di nuovo schiavismo, secondo lui. Perché nessuno obbliga questi ragazzi a lavorare per Foodora. Verissimo. Potrebbero rimanere disoccupati, come il 40% dei loro coetanei. Già, perché le ore di massimo sfruttamento dei pedalatori trasformano i nuovi schiavi in occupati per la felicità delle statistiche ad uso del bugiardissimo. L'impossibilità di sopravvivere, con quelle cifre, non interessa all'Istat e tantomeno al governo. D'altronde i cialtroni sono già pronti ad utilizzare le gambe degli immigrati per sostituire i pedalatori indigeni. Ed il ritornello sarà il solito: "Dobbiamo farli arrivare perché fanno lavori che gli italiani rifiutano". Tanto i media di servizio faranno in fretta a far dimenticare che a pedalare erano gli indigeni, sostituiti per fame dagli allogeni. Che poi a far la morale sia proprio Debenedetti è ancor più fastidioso. Il signore è appena stato condannato, in primo grado, per le morti sul lavoro all'Olivetti. Lavoratori che si sono ammalati quando ai vertici dell'azienda sedevano il signor Franco Debenedetti e suo fratello. Magari in appello la magistratura provvederà a salvarli, ma non ha salvato i lavoratori. E non ha salvato neppure l'Olivetti. Non stupisce, dunque, che questo signore si indigni per le proteste di chi pedala per un'ora per incassare meno di 5 euro netti. Liberi di rifiutare e di restare disoccupati. Questa è l'oligarchia italiana che cerca di spacciarsi per élite. Questa è la gente che ha rovinato il Paese e che pretende ancora di pontificare. Perché controlla giornali e tv, libera di lanciare messaggi che si trasformano in scelte politiche di governi asserviti.

mercoledì 12 ottobre 2016

De Gaulle sceglie l'Italia (ma è il nipote)

C'era una volta la Francia. Prima dell'insignificante Hollande, del patetico Sarkozy, di Mitterand protettore dei terroristi, del Giscard dei diamanti, del traditore Pompidou. Una Francia che, attraverso la grandeur, nascondeva la crisi irreversibile di un Paese che aveva vinto la guerra con gli eserciti altrui, che aveva perso le colonie per micragnosità prima di accorgersi che il modello coloniale era finito e bisognava costruire nuovi rapporti su nuove basi. L'ultimo sussulto di grandeur aveva un nome: Charles De Gaulle. Più temuto che amato, ma in grado di gestire - anche con eccessiva durezza nei confronti di chi rischiava la vita per difendere una certa idea della Francia - la complicatissima transizione. E ad uno dei suoi nemici storici nella vicenda d'Algeria si rivolse, De Gaulle, quando il maggio francese pareva in grado di distruggere il mondo gollista, la Douce France che ormai esisteva solo più nelle canzoni. E capace, De Gaulle, di ritirarsi a vita privata dopo la sconfitta in un referendum di secondaria importanza. A differenza di chi promette dimissioni e poi, immancabilmente, si rimangia le promesse. Ed ora il nipote Yves racconta il nonno in un libro "Un autre regard sur mon grand père Charles De Gaulle" e sceglie Acqui Terme ed il premio Acqui Storia per presentarlo. Decisione intelligente e consapevole, perché il premio dedicato agli studi storici è apprezzato in tutta Europa e tra i finalisti dell'ultima edizione figurava anche un autore russo. Dunque non stupisce che il nipote del Generale abbia puntato su Acqui. E non stupisce neppure che il Salone del Libro di Torino, alle prese con il tentativo di riformarsi per rispondere all'offensiva guidata da Mondazzoli, continui ad ignorare l'organizzazione di Acqui. Stessa regione ma due mondi lontani per scelta dei vertici della cultura omologata di Torino. In grado di sperperare risorse e di creare divisioni, ma assolutamente incapaci di accettare una condivisione delle decisioni con chi non è allineato e coperto. D'altronde anche i Comuni e le Regioni schierati sul fronte del centrodestra non hanno mai fatto nulla per collaborare con Acqui. Ospitando presentazioni dei libri finalisti, organizzando appuntamenti congiunti. Comuni che spendono soldi per iniziative prive di interesse anche locale ma che rifiutano di acquistare un libro scomodo per le biblioteche comunali. Anche dalle piccole cose si valuta la capacità di far politica

martedì 11 ottobre 2016

La sinistra Pd sfiducia il bugiardissimo ma solo nel partito

L'aspetto più significativo nella lenta, lentissima rottura all'interno del Pd non è la differenza di opinioni sull'Italicum o sulle riforme. Ma, molto più semplicemente, la totale mancanza di fiducia nei confronti delle promesse del bugiardissimo. Che assicura di essere pronto a modificare la legge elettorale, però solo dopo il sì al referendum. Un semplice ricatto, certo non una novità nei comportamenti del premier. Peccato che alla sinistra Pd faccia totalmente difetto la coerenza. Perché Bersani e compagni non si fidano delle promesse del bugiardissimo sulle questioni interne ma fingono di fidarsi delle promesse a vuoto come presidente del Consiglio. E infatti la sinistra del partito si ostina a votare la fiducia ad un personaggio di cui non si fida: fantastico! D'altronde i bersaniani ed i dalemiani sanno benissimo che, in caso di caduta del governo, si andrebbe ad elezioni e la direzione del Pd eviterebbe accuratamente di ricandidarli. Dunque una poltrona per altri due anni val bene un voto di fiducia turandosi il naso. Ma il referendum potrebbe segnare il punto di non ritorno. Qualcuno potrebbe finalmente trarre le conclusioni politiche di un dissenso insanabile ed agire, finalmente, in modo coerente. Andandosene e sbattendo le porte. Creando una nuova formazione politica. Indubbiamente una scelta non facile. Perché le esperienze precedenti non sono state particolarmente incoraggianti. E poi, un partito che manterrebbe l'appoggio al governo del bugiardissimo o uno che toglierebbe la fiducia, lasciando magari che siano i gruppuscoli del centrodestra a sostenere il premier? Perlomeno la sinistra si interroga e, timidamente, prova ad ipotizzare alternative. Sul fronte opposto, invece, il nulla è ormai assoluto. Parisi ha smesso di sgomitare e vivacchia senza riuscire a coinvolgere una società civile che non si sa più cosa sia. Toti è ai margini della scena e non si sa cosa stia aspettando per riprendersela. Salvini non sfonda più con gli slogan e la Lega cala nei sondaggi, Fdi resta un'incompiuta senza proposte. Mentre i 5 stelle possono inanellare errori su errori ma non perdono consensi perché nessuno riesce a creare un'alternativa credibile. Nel frattempo l'invasione si intensifica e la fuga dei giovani disertori italiani si trasforma in una rotta senza fine.

lunedì 10 ottobre 2016

Un'ora di 90 minuti per aumentare la produttività

Lo sfruttamento del lavoro e' diventato talmente naturale che i vertici aziendali si meravigliano se qualcuno degli sfruttati osa protestare. Anzi, più che meravigliarsi si addolorano. Lo si può notare in una illuminante intervista rilasciata da un dirigente di Foodora, la società che utilizza i ciclisti per portare pasti a domicilio. Prima i lavoratori erano pagati su base oraria. Salario da fame, poco più di 5  euro all'ora. Ma adesso si è deciso di retribuirli in base alle consegne effettuate. Poco più di 2 euro per consegna. Ed il dirigente ha spiegato che, a Torino, il tempo medio di consegna e' di 29 minuti. Dunque, ha sottolineato, se ne possono fare 3 all'ora. Curiosa concezione del tempo, evidentemente. Che potrebbe essere estesa ad ogni attività lavorativa. Ti pago 10-15 euro all'ora, per ore di 90 minuti ciascuna. Così aumentiamo la produttività oraria: geniale. Ma l'indignato aziendale e' andato oltre e ha sottolineato come l'azienda offra ai collaboratori (vietato definirli dipendenti) la possibilità di fare dello sport in città, pedalando in mezzo ai fumi degli scappamenti delle auto. Naturalmente alla bici, manutenzione compresa, devono provvedere i pedalatori. Insomma, il prossimo passo potrebbe consistere nella richiesta di un contributo ai pedalatori, visto che risparmiano sulla palestra o sull'iscrizione ad una società ciclistica. D'altronde la società spiega che i collaboratori non devono considerare l'attività come un lavoro. Una sorta di gioco per di più lautamente retribuito. C'è chi porta a casa anche 250 euro al mese. Ed i promotori possono arrivare a 500. Insomma, generose elargizioni che possono permettere ai pedalatori di vivere lontano dai genitori, di acquistare un appartamento con un mutuo, di metter su famiglia. Sperando, ovviamente, che una scivolata in bici o un incidente contro un'auto non impedisca di effettuare 3 consegne nei 90 minuti dell'ora nuova aziendale.