sabato 29 giugno 2013

Pdl e FdI: piuttosto la morte ma non una nomina intelligente

Ne ha scritto l'Osservatore Romano, ovviamente. Ne ha scritto il Giorno, e pure numerosi giornali stranieri. Perché un Papa in carica che partecipa ad un concorso letterario (e lo vince) non si era mai visto. L'ha fatto Benedetto XVI, prima di dimettersi, inviando un suo testo all'Acqui Ambiente. E oggi il riconoscimento verrà consegnato al Vescovo di Acqui. Una bella vetrina per la città piemontese. A livello nazionale ed internazionale. Quanti soldi ha ottenuto, il premio per l'ambiente, dall'assessorato regionale all'Ambiente? Zero. Allora saranno arrivati dall'assessorato alla Cultura? Macché, sempre zero? E dal Turismo? Idem. Torino regala 10mila euro ad un pic nic privato, con la scusa che fa immagine, ma la Regione Piemonte non investe un centesimo su un premio apprezzato pure dal Papa. Problemi di soldi? Difficile da credere, considerando come vengono utilizzate le risorse dei tre assessori. E poi, se fosse solo una questione economica, gli assessori sarebbero prontamente intervenuti per cercare la collaborazione degli organizzatori acquesi. Perché Acqui Ambiente ed Acqui Storia hanno dimostrato di saper conquistare visibilità e spazi sugli organi di informazione. A costi ridottissimi. Le idee e le competenze più forti dei tagli dei finanziamenti. Dunque si poteva immaginare di veder premiate le competenze, le professionalità. A costo zero, sia chiaro. Semplicemente collocando i responsabili delle manifestazioni acquesi nei consigli d'amministrazione dove i tre assessori collocano i propri rappresentanti. Sono premi letterari, e allora perché gli organizzatori acquesi non vengono coinvolti nella gestione del Salone del Libro, strapagato dalla Regione? Forse perché imporrebbero un fastidioso pluralismo e non ci sarebbe più la passerella monocromatica del Pd? Allora qualche altra struttura che si occupa di cultura ed è finanziata sempre dai 3 assessori? Macché, nulla di nulla, nada de nada. Il Circolo dei Lettori? Il teatro Regio? Le istituzioni musicali? I teatri? Gli organismi turistici? Quelli ambientali? Assolutamente nulla. E nulla nei consigli d'amministrazione delle fondazioni bancarie, dove si decidono i finanziamenti anche per le attività culturali. Pdl o Fardelli d'Italia, l'atteggiamento non cambia. Chi è bravo, in ambito culturale, e non è targato Pd o Sel, non può lavorare con gli assessori del centrodestra. Forse han paura di un confronto, sapendo di perderlo. Forse han paura della propria ombra. O dell'incapacità di gestire un rapporto con un'informazione schierata dalla parte opposta. D'altronde quando è toccato al centrodestra piemontese far le nomine in rai, o determinare le assunzioni, si è vista benissimo la logica delle competenze, della professionalità, dell'indipendenza. "Assumiamo chi sta dall'altra parte, così ci dovrà riconoscenza". Si è vista la riconoscenza, si son visti i brillanti risultati. Ma loro continuano così, continuano a farsi del male e a non capire come mai non riescano a far decollare i progetti. Ma provare a spiegarlo è tempo perso.

venerdì 28 giugno 2013

Confindustria: il 2013 peggio del previsto

La luce in fondo al tunnel? si è spenta di nuovo. Secondo Confindustria il calo del Pil sarà, quest'anno, più grave del previsto. Ed i licenziamenti di massa proseguiranno anche il prossimo anno.  Meravigliosi effetti della politica dei piccoli passi del governo Alfetta. Licenziamenti liberi di chi mantiene le famiglie e ingressi di giovani precari, con salari che permettono a mala pena la propria sopravvivenza. Ma il governo spiega che occorre ancora tempo per valutare appieno i disastrosi effetti della riforma Fornero. Ci servono amcora decine e decine di suicidi per disperazione economica, prima di capire che "nostra signora degli esodati" ha provocato danni colossali. Ma mentre la banda Alfetta continua a provocare disperazione, Monti si entusiasma perché l'Italia non è come la Grecia. Per il semplice fatto che l'Italia non è mai stata come la Grecia, nonostante i tentativi di Monti e della sua banda per trasformarci in un Paese in bancarotta. Monti, ed ora Alfetta, sono comunque riusciti a distruggere il tessuto economico del Paese. Non bastavano i grandi marchi della moda italiana che passavano sotto il controllo francese; o i grandi gruppi alimentari: ora persino le pasticcerie storiche diventano di proprietà transalpina. E vedremo, alla fine dell'estate, quanti pezzi del turismo italiano saranno posti in vendita, dopo l'ennesimo crollo delle presenze. Perché assessorati e statistiche possono raccontare la verità che preferiscono, ma il deserto nelle località di vacanze è facilmente verificabile. Senza soldi, senza tutele, senza prospettive future: è l'Italia che piace alla Merkel, ma che piace anche a De Benedetti ed al suo impero mediatico. Qualcuno vuole opporsi? Macché: quella che dovrebbe essere la Destra convoca tavoli tra morti politici per cercare di salvare qualche poltrona. Con Aledanno che non riesce neppure ad essere puntuale ad una tavola rotonda, a Roma, organizzata apposta per ascoltarlo. La puntualità è la cortesia dei re, si diceva un tempo. La maleducazione è l'arroganza di politici giustamente trombati ma che non si rassegnano alla scomparsa.

giovedì 27 giugno 2013

I provvedimenti sul lavoro? Un suicidio per l'economia italiana

I servi (ma consapevoli, non sciocchi) hanno esultato per l'immondo provvedimento del governo a favore delle assunzioni. Plauso sui giornali zerbinati, entusiasmo tra i politici del governo Alfetta. Probabilmente i venduti consapevoli sono da individuare nei media perché può anche darsi che i sostenitori dell'Alfetta non abbiano davvero capito il senso delle decisioni del governo. D'altronde se il prestigioso Boccia confonde elicotteri con cacciabombardieri (ecco perché han messo la DeGirolamo, moglie di Boccia, al ministero dell'Agricoltura: aveva rubato ai campi le braccia del marito), non c'è da stupirsi che anche gli altri capiscano poco o nulla. Invece i servi dei giornali hanno perfettamente capito che il governo vuol garantire un lavoro solo ai giovani più disperati, meno preparati, senza titolo di studio, senza competenze e qualifiche. Perché il governo Alfetta, al servizio dello zio Gianni Letta (rappresentante di ogni potere forte ed oscuro, purché anti italiano), vuole trasformare l'Italia nel Bangladesh d'Europa, in una sorta di Germania Est dove si lavora, tanto, con salari da fame. Ma impegnati in produzioni di livello medio-basso per non rappresentare un ostacolo nei confronti delle industrie di Berlino. Servi e basta. Ed i giovani migliori devono emigrare, proprio per evitare il rischio di diventare un fattore di competitività. Così gli incentivi servono per assumere chi non ha competenze. Guai a favorire l'ingresso di laureati, di ricercatori. No, livello massimo di studio: licenza media inferiore. Non è un caso, ma una precisa strategia. E gli over 50? Anche in questo caso non ci sono risorse per favorire il reingresso nel mondo del lavoro del personale più qualificato, con laurea, master, esperienza, professionalità. Chi è  capace non deve lavorare in Italia. Rappresenta un pericolo, l'Europa ci chiede di lasciare le competenze fuori dalle aziende. I mercati non vogliono qualità italiana. E lo si riscontra anche nella vicenda degli F35. Aerei pensati e voluti dagli Usa, per far business ma anche per controllare le aviazioni di chi sarà obbligato ad acquistarli. Sono false le dichiarazioni di chi, come il ministro Mauro, sostiene che gli acquisti sono obbligati per garantire la sicurezza e la pace. Lo spiega, benissimo, Gianandrea Gaiani, responsabile di Analisidifesa.it: l'Italia ha bisogno di aerei, ma deve puntare sugli Eurofighter, con tecnologia europea italo-anglo-tedesca-spagnola. Ma i servi dell'Alfetta vogliono rinunciare agli aerei europei per far contenti i padroni di Washington. Perché si può trattare della Merkel, per il lavoro, o di Obama per gli aerei, ma l'importante è avere padroni a cui svendere l'Italia.

mercoledì 26 giugno 2013

La Cara Salma non vuole che i politici pensino

La Cara Salma torna sulla scena. In carenza da esposizione mediatica, ha voluto essere nuovamente protagonista. E ha bacchettato i politici. Perché? Perché provano a fare politica, perché provano a confrontarsi sulle idee, perché provano a non accettare una logica fatta di sentenze giudiziarie già scritte e di imposizioni internazionali sull'economia. Ma tutto ciò, alla Cara Salma che si sente Re d'Italia, non piace. Perché mai si devono avere delle idee quando sua maestà pensa già per tutti? Perché mai si devono proporre tagli agli sprechi militari, quando gli Usa hanno già deciso che i soldi tolti ai lavoratori ed ai pensionati italiani devono essere utilizzati per acquistare aerei made in Usa e che, anche a regime, saranno controllati dagli americani? Perché mai si deve protestare per sentenze indecenti o patetiche, quando il sistema italiano deve essere basato su un Re che comanda attraverso il potere giudiziario? E guai a fare arrabbiare la Cara Salma o i suoi esecutori: se non si aggiunge anche il potere repressivo. Galera per chi critica, lacrimogeni per chi protesta. Ma candelotti democratici, mica come quelli di Rio de Janeiro o di Istanbul. D'altronde l'ex sostenitore dei carri armati sovietici impegnati nell'invasione dell'Ungheria, trasformato in un migliorista di terza fila ma con l'amore per Washington, è stato ricollocato al Colle senza condizioni. Una resa totale. E la Cara Salma ne approfitta. Con l'appoggio, altrettanto incondizionato, dei giornalisti quirinalisti. Quelli sì che san fare il loro mestiere: mai una critica, mai un dubbio, mai una perplessità sui comportamenti di sua maestà. E chi dubita è cattivo, antidemocratico, populista, turco o brasiliano, russo o argentino. Il gioco, indubbiamente, riesce bene alla Cara Salma. Ed i pochi che osano pensare, si ritirano immediatamente, in buon ordine, al primo sospiro infastidito del Re. Vietato pensare, vietato disturbare. Ma forse è quello che i politici sognano davvero: un Re. Tanto è vero che nel Pdl, dopo la raffica di interventi della magistratura contro il loro Re Silvio, si pensa già alla successione. Dinastica, ovviamente. Con Marina Berlusconi al posto del padre. E poco importa che l'erede, impegnata nelle aziende di famiglia (comprese quelle che han trasformato in autori famosi dei modesti scribacchini con l'unica qualità di essere nemici di Silvio, pagati da Silvio), annunci di non essere interessata. Perché, in una monarchia, mica si chiede il consenso al principe ereditario. E poi se Jean Marie Le Pen è riuscito a lanciare la figlia Marine, e pure la nipote Marion, con risultati straordinari, perché il Pdl non può ripetere il miracolo? Si chiamano entrambe Marina, sono entrambe figlie del capo e fondatore, mica servirà qualcosa di più? Tipo programma politico? Tipo idee? Tipo un partito efficiente e con personale capace? No, non son mica questi particolari che garantiscono il successo. Basta un cognome, e magari pure il nome. Tutto il resto è noia.

martedì 25 giugno 2013

Berlu, sfogliato come un carciofo grazie alle sue colombe

Cosa si inventeranno, questa volta, le maleodoranti colombe del Pdl per convincere Berlu a far finta di niente dopo l'ennesima condanna giudiziaria? Ubbidiranno alle sempre identiche intimazioni del Pd: abbassare i toni e fare un passo indietro? Ovvio, per non turbare il governo Alfetta, guidato dal nipotino del peggior consigliere e burattinaio del Cav. E così, tra un passo indietro ed un altro passo sempre più indietro, Berlu viene sfogliato come un carciofo. Sempre più debole, con sempre meno difese, con un'età che avanza implacabile ed uno stuolo di cortigiani incapaci. Con un figlio che, ora, dice di commuoversi sino alle lacrime per la condanna del papi ma che ha sempre utilizzato le tv per far soldi e mai per fare una controinformazione. Tutti convinti che se Berlu avesse abbassato i toni, i nemici in cambio sarebbero stati più rispettosi, non lo avrebbero condannato, non gli avrebbero toccato il business. Tutti perfetti idioti. Così, mentre il Cav faceva il bravo, la magistratura lo massacrava, giorno dopo giorno, processo dopo processo. Ma lui salvava la tv ed il business. E, infatti, è arrivata anche la condanna a pagare 500 milioni a De Benedetti. Ma i consiglieri gli hanno spiegato che non fa nulla. Ha pur sempre le tv. Certo, sino a quando la condanna lo eliminerà dalla scena politica. Questione di pochi mesi. Dopodiché scatterà l'attacco a Mediaset. Mentre le colombe fingeranno di stupirsi, di indignarsi. Alfano, come premio, otterrà una prosecuzione del suo insignificante ruolo di governo, Gianni Letta farà lo zio a tempo pieno. E Pier Silvio avrà davvero motivo di arrivare alle lacrime, quando vedrà l'impero sgretolarsi ed il suo Circo Barnum pronto a riciclarsi con altri padroni. Ci si può illudere che, nel Pdl, qualcuno sia in grado di comprendere tutto questo? Ovviamente no. Ed allora tutti pronti a farsi prendere per i fondelli con un rinvio dell'Iva ed un cambiamento dell'Imu. Ed a sognare che il governo Alfetta faccia rinascere la Balena grigia post democristiana ed imbarchi questa ciurma di incompetenti fuori dal mondo. Perché, in fondo, al Pd di Renzi può persino far comodo disporre di una massa di pecore da far confluire nelle sue schiere per prendersi il partito in nome dei toni abbassati e del passo indietro. Perché Renzi, uomo dei banchieri e degli speculatori, avrà bisogno dei pidiellini curiali abituati a sopire, ad ingoiare, a sospirare. La disfatta dell'Italia non prevede una sana rabbia.

lunedì 24 giugno 2013

Iva o Imu? Palliativi per nascondere la svendita dell'Italia

Rinviare l'aumento dell'Iva o eliminare l'Imu? Favorire l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro a condizioni da Quarto Mondo o garantire un sostegno al di sotto della soglia di povertà ai lavoratori anziani cacciati fuori dal ciclo produttivo? Il dibattito all'interno del governo Alfetta è tutto qui: una discussione inutile, perché il risultato è comunque una sconfitta. Che si accetti la logica di rinviare l'aumento dell'Iva o di abolire l'Imu, ma solo in cambio di altri tagli, o che si punti sull'aumento di precarietà e della povertà pur di migliorare le statistiche sulla disoccupazione, non si farà assolutamenmte nulla per il rilancio dell'Italia. Una politica da sconfitti, dettata da quella banda di criminali che si nascondono dietro le organizzazioni internazionali ed europee. I criminali che, attraverso le Ong abbondantemente finanziate, scatenano le manifestazioni di piazza nei Paesi che provano a ribellarsi al pensiero unico e alla speculazione internazionale. Certo, la rabbia emerge con maggior facilità quando i governi sono caratterizzati da atteggiamenti scorretti, da corruzione, da scandaletti vari. Però dovrebbe far riflettere la coincidenza tra le manifestazioni di piazza ed il tentativo di questi stessi Paesi di creare una Banca mondiale alternativa a quella che soggioga i popoli ed arricchisce gli speculatori. E dovrebbe far riflettere che in Italia - nonostante scandali, tasse assurde, povertà crescente, disoccupazione alle stelle, immigrazione senza regole ed emigrazione dei cervelli - ogni protesta sia bandita. Sopita. Abbassare i toni e fare un passo indietro: le parole d'ordine dei giornali, delle tv, dei social forum politicamente corretti. Perché l'Italia deve essere depredata e, dunque, le rivolte sono un ostacolo. Lavorare da schiavi, vendere le aziende agli investitori stranieri, impoverirsi progressivamente ma velocemente. Per diventare come la ex Germania Est, con una produzione industriale a basso costo, con un'agricoltura di qualità per l'export e di nessuna qualità per il mercato interno, con un turismo a disposizione solo dei ricchi padroni in arrivo da altri Paesi. Alternative? Ribellarsi ai diktat dell'Ue, della Bce, della Banca Mondiale. Cercare nuove alleanze strategiche, creare nuovi blocchi economici internazionali. Lo spiega benissimo Emidio Novi nel suo libro "La dittatura dei banchieri". Ovviamente pubblicato da una casa editrice minore (Controcorrente), perché ai grandi gruppi editoriali la verità non piace. E hanno perfettamente ragione a temerla.

venerdì 21 giugno 2013

La stagione turistica comincia nel peggiore dei modi

C'era una volta il tentativo di lanciare la terza stagione del turismo. Soprattutto montano, perché al mare già l'idea di un turismo non solo estivo pareva eccessiva. Chi viveva di turismo, in queste località marine o montane, era convinto che - per intercessione divina - si potesse vivere 12 mesi lavorandone 3, al mare, o 6 in montagna. Solo gli idioti delle città e delle campagne erano tenuti a lavorare 11 mesi. Poi, con calma, ci si è resi conto che ammortizzare i costi di hotel, ristoranti, case da affittare, negozi e quant'altro diventava difficile. E si era pensato alla terza stagione. Quella tra estate ed inverno, o tra la fine dell'inverno e l'estate. Quando, in fondo, i paesaggi sono più belli, la folla fastidiosa non c'è più e si possono godere momenti di intenso rapporto con le località in cui si soggiorna. Ma la terza stagione, che è poi quella che viene definita come "bassa stagione", richiede un cospicuo investimento: in idee, che sono più difficili da trovare rispetto alle sedie per un dehor o ai giochi da collocare in spiaggia. L'Italia è stracolma di arte misconosciuta, di castelli, palazzi, opere d'arte. Ma anche di natura incontaminata, di spazi per cavalcate o passeggiate. Il Bel Paese, nonostante i palazzinari e gli imprenditori che costruiscono capannoni indecenti a basso costo, resta comunque un Paese meraviglioso. Ma valorizzarlo richiede intelligenza, competenza, conoscenza, professionalità. Molto più comodo aumentare il prezzo del cono gelato, tanto per far cassa. Ed allora si programmano i lavori per l'inizio di luglio, tanto i turisti non arrivan più, e se arrivano si arrangiano. I cinema restano chiusi sino a quando le località non si affollano, i banchi del mercato latitano. Un circolo vizioso: se i turisti non ci sono, inutile predisporre l'offerta; ma se l'offerta non c'è, perché dovrebbero arrivare i turisti? Ed allora prepariamoci alle lamentele di settembre, quando gli operatori piangeranno per il calo del turismo dovuto alla crisi. Che è vera e pesa. Ma pesano anche i sempre maggiori limiti degli operatori. Che sulla terza stagione non investono più e che investono sempre meno anche sulla seconda: lavorare solo d'estate al mare, solo d'inverno in montagna. E poi tutti a piangere.

giovedì 20 giugno 2013

Tutti i Paesi emergenti sotto attacco: ma è una coincidenza..

C'è chi crede alle coincidenze. E chi no. Anche all'esame di maturità uno dei temi riguardava i Brics, i Paesi emergenti che in realtà sono già emersi: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. E tra i Paesi in fase di "emersione" ci sono Turchia, Argentina, Indonesia, Mexico.  Al di là del Sudafrica, che è un bluff politico-economico, ci sono alcune caratteristiche che accomunano gli altri Paesi: le tensioni emergenti. Che nascono, guarda la coincidenza, non da fenomeni di grandissima rilevanza. Ma da boiate minimali. In Turchia la protesta è esplosa per un'operazione immobiliare su un miniparco di Istanbul. Roba che, in Italia, dovrebbe portare alla guerra civile permanente, considerato gli scempi edilizi, l'abuso del suolo, la cementificazione selvaggia. E in Brasile? L'aumento di pochi centesimi del prezzo del biglietto dell'autobus. Non del 50%, come è accaduto - nell'indifferenza generale - a Milano e Torino poco più di un anno fa. Pochi centesimi e un milione di persone sarebbe sceso in piazza per ribellarsi all'ingiustizia. Coincidenze, certo. E in Argentina? La protesta è iniziata perché il governo peronista ha deciso di concedere il diritto di voto ai sedicenni: un crimine contro l'umanità, evidentemente. Che fa il paio con la limitazione delle opportunità di turismo internazionale per le classi più agiate. Eh sì, son problemi tali da scatenare una rivoluzione. Poi c'é la Russia, alle prese con le terribili persecuzioni contro due ragazzotte stonate che sono andate ad esibirsi - ben foraggiate dalle solite Ong - nella chiesa di Mosca. E che dire delle indecenti persecuzioni contro gli oligarchi mafiosi? Intollerabili. L'India, perlomeno, deve affrontare questioni più serie,tra separatisti che - guarda la coincidenza - proprio ora han ritrovato le motivazioni dimenticate, problemi di impossibile integrazione tra musulmani e indù, una brusca frenata della crescita economica. E la Cina potrebbe presto ritrovarsi con i medesimi problemi, a causa del rallentamento dell'economia. Tutte coincidenze, certo. Come è un caso che ci siano sempre le stesse Ong a sostenere le proteste in Paesi che cercano di mantenere la propria indipendenza nazionale. Ed allora, tra una coincidenza e l'altra, si possono avviare le scommesse su quali saranno le motivazioni che scateneranno le "spintanee" manifestazioni di protesta negli altri Paesi in emersione. Magari non nel Mexico, troppo legato agli Usa per poter rischiare tensioni al di là dei soliti problemi di traffico di droga. E infatti, nonostante le continue stragi che si registrano in Messico, con guerre sanguinosissime tra bande, nessuno protesta e le Ong non vedono, non sentono e, soprattutto, non finanziano le ribellioni. Poi, certo, tutti i Paesi sotto attacco commettono i medesimi errori: non sanno cosa sia la comunicazione, né interna né internazionale, non sanno come gestire una campagna di stampa per contrastare l'informazione a senso unico, non sanno come far conoscere le proprie ragioni e la realtà. Preferiscono ricorrere alla solita repressione, senza investire sulla controinformazione. Pigri? Ignoranti? Impreparati comunque. E se i russi, invece di comprare squadre di calcio in EuropaOccidentale, acquistassero un giornale o una tv, avrebbero molti problemi in meno. E vale anche per chi acquista squadre di ciclismo, mega yacht, isole greche, grandi magazzini o quel che ispira il momento. Per poi stupirsi di non saper reagire agli attacchi mediatici.

mercoledì 19 giugno 2013

La cultura libera, ad Acqui, straccia il pensiero unico

178 a 25. C'era una volta il premio Acqui Storia gestito dall'ortodossia Pci. Con una media di ben 25 libri partecipanti per edizione. E vincitori assolutamente scontati. Libri che non avrebbero venduto una sola copia, illeggibili. Ma tanto ortodossi e fedeli alla linea. Poi è arrivato Carlo Sburlati, ha puntato su giurie di ogni orientamento politico e sono arrivati premi a libri belli, a prescindere dalle appartenenze partitiche. Risultato: partecipazione sempre più numerosa di autori, case editrici sino ad arrivare quest'anno, a sfiorare i 180 libri in concorso. Nell'indifferenza, faziosa e infastidita, dei media che ritengono che l'unica cultura sia rappresentata dalla sfilata del Pd al Salone del Libro o dalla presenza dei soli autori politicamente corretti ed allineati ai vari festival della marchetta libraria. L'AcquiStoria rappresenta, invece, la dimostrazione che esiste una cultura diversa, alta e altra. Una cultura libera, dove possono confrontarsi gli orfanelli del Pci con chi, invece, al Festival dell'Unità non è mai stato invitato. Una cultura che non nega cittadinanza ai fans dei tecnocrati ed ai nemici giurati degli stessi burocrati. Perché un libro non si giudica sulla base di una ideologia, ma per il valore dell'analisi, dell'approfondimento, della capacità dell'autore di spiegare il proprio punto di vista. Si giudica per il tipo di scrittura, per la documentazione. E, ad Acqui, si giudica in totale libertà. Sarà per questo che i media di servizio ignorano il premio o ne scrivono e parlano solo per fomentare polemiche. Sarà per questo spirito di libertà e indipendenza che i governi regionali piemontesi tagliano i fondi, disertano le cerimonie, non sostengono le iniziative, evitano accuratamente ogni forma di promozione. Così ad Acqui sfilano autori famosi e altri che lo diventeranno, ma anche attori, musicisti, artisti come testimoni della cultura del nostro tempo. Quella cultura che non piace agli assessori ed ai ministri - compresi quelli del centrodestra - perché troppo libera ed indipendente. E chi ha trasformato anche le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia in uno spot del pensiero unico - per interesse di parte, a sinistra, e per crassa ignoranza, a destra - non ama la libertà altrui e tanto meno l'indipendenza.

martedì 18 giugno 2013

Giocare a due passi da un cadavere

Di fronte alle immagini, invero imbarazzanti, di bagnanti adulti che giocano con il racchettone mentre i bambini sguazzano sul bagnasciuga mentre a pochi metri giace un cadavere, i media italiani hanno esposto la maschera dell'indignazione: Come si fa ad essere così insensibili? La risposta dovrebbe arrivare proprio dai media. Quelli che assistono, insensibili, alla continua strage di disoccupati che si uccidono, imprenditori che si uccidono, pensionati che si uccidono. Nell'indifferenza dei giornalisti, dei politici, degli economisti, dei banchieri. Ma tutti pronti ad indignarsi di fronte alla battuta contro l'afroministro. Tutti indifferenti di fronte ad un invasore che sente le voci ed ammazza a picconate tre poveri cristi (con i funerali oscurati per non urtare la sensibilità del ministro?) ed ancora indifferenti quando un altro invasore spara ai passanti perché anche lui sentiva le voci (e dategli un otorino, invece della cittadinanza). Ma tutti sensibilissimi se qualche vittima si indigna per le sentenze assurde di un magistrato. Sono stati i media, al servizio di tutti i poteri forti, a creare questa sensibilità a comando e intermittenza. L'indignazione solo per ciò che non è politicamente corretto. Solo che, poi, il politicamente corretto a comando genera confusioni. Ed allora scatta l'indifferenza se una signora crepa su una spiaggia. Ma i bagnanti son pronti ad insorgere se un venditore abusivo di merce contraffatta viene fermato su una spiaggia da un eroico vigile. E gli stessi che si indignano per l'intervento del vigile sono magari quelli che, a casa loro e davanti al loro negozio, non vogliono venditori abusivi perché rovinano il commercio. Così la morte, la vita, la violenza diventano casi da analizzare volta per volta, per trovare una risposta non umana ma politicamente corretta. Ci si può preoccupare perché troppi cervelli italiani - dopo una preparazione universitaria che costa, allo Stato e dunque a tutti noi, oltre centomila euro a laureato - se ne vanno a lavorare all'estero. Ma guai a lamentarsi perché, in questo modo, si distruggono i rapporti famigliari, perché ci sono nonni che vedranno (se va bene) i nipotini due volte all'anno. Perché si distrugge un tessuto di tradizioni, di rapporti, di cultura. No, questo non è politicamente corretto e non ci si può lamentare. Ma ci si deve lamentare se anche gli immigrati non fanno più figli, frenati dalla povertà crescente in Italia e dal timore del futuro preparato dal governo Alfetta e dalla Bce. Che son gli stessi timori degli italiani, ma non si può dirlo. E allora, tra imposizioni dei media, pressioni degli opinion leader, obblighi del controllo sociale dei coglioni politicamente corretti, gli italiani vanno in tilt. Perdono umanità, sensibilità. Reagiscono solo a comando. E visto che in spiaggia non sono arrivati ordini, hanno continuato a giocare. Ma oggi, dopo le critiche, scatteranno come idioti a portare un fiore sul luogo dove è morta la signora. E tutti saranno contenti e a posto con la propria coscienza di ipocriti.

lunedì 17 giugno 2013

Verrà la morte, con gli occhi di Fornero..

Sulle prime pagine dei quotidiani si discetta delle battute contro l'afroministro. Ma spariscono le notizie sui continui suicidi per disperazione economica. Il centinaio di morti è stato ampiamente superato, ma non se ne parla. Poche righe nelle cronache locali. Censura e ancora censura. Perché, a parlarne, verrebbero fuori le responsabilità del governo Monti e del suo ministro del Lavoro e, soprattutto, della Disoccupazione. Elsa Fornero. Ma, nonostante la censura dei quotidiani, se ne può scrivere. Magari in un libro, un ebook come "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Storia semiseria della Signora degli esodati", pubblicato dal Borghese nella nuova collana degli Apoti e recuperabile su Amazon. Quella che segue è la prefazione di Andrea Marcigliano.

Dicono che Torino, dietro l’apparenza algida e cortese, sia una città di misteri. Misteri esoterici, perché costituirebbe uno dei vertici del leggendario «Triangolo Nero» della magia, e lì si favoleggia risieda, o risiedesse in passato addirittura una sorta di Vescovo di Satana; ma anche misteri politici ed economici, città di salotti umbratili e ovattati dove dominano consorterie finanziarie che, di fatto, hanno sempre esercitato un ruolo fondamentale, ancorché poco palese, nelle vicende dell’Italia. Circoli chiusi, autoreferenziali, poco conosciuti al grande pubblico che, per lo più, identifica la città della Mole con la FIAT, la Casa Agnelli, la Juventus. Tuttavia ambienti influenti, che hanno segnato il bello ed il cattivo tempo della storia economica e politica italiana, per lo più, però, restando sempre nell’ombra, che ha loro garantito di poter agire indisturbati e, soprattutto, senza pagare gli scotti, sovente pesanti, che la luce della ribalta ha chiesto ad altri, meno influenti e meno fortunati, prota-gonisti della scena politico-economica. Di rado, questa Torino riservata e silenziosa è uscita allo scoperto, assumendosi direttamente, con persone «sue», l’onore e l’onere della gestione diretta del potere, preferendo sempre far ricorso ad altri modi, agendo dietro le quinte, come i burattinai nel teatro dei pupi. Eccezione, notevole, è stata quella rappresentata dal Governo Monti, nel quale, oltre al Presidente del Consiglio - lombardo di origine, certo, ma torinese di formazione ed elezione - erano presenti altri personaggi di provenienza piemontese, legati a certi ambienti, adusi a muoversi più fra le ville della collina torinese, che fra i palazzi dei Sette Colli romani. In particolare Elsa Fornero, «Nostra Signora degli Esodati» come l’appella Augusto Grandi in quest’agile biografia critica. O meglio in questo pamphlet che ne segue e disegna vita e carriera, amicizie e rapporti di sodalità, protezioni e legami al di là, molto al di là, di una certa vulgata agiografica che ne ha accompagnato la, resistibile, ascesa e contrappuntato il percorso al governo. Percorso breve, certo, tuttavia pesantemente incidente, nel presente ed ancor più nella prospettiva futura, sul  corpo vivo della società italiana.
Sulle vite, sulla carne ed il sangue di tutti, o quasi, noi italiani.
Chi è il Ministro Fornero, chi era, da dove proviene, da dove traeva e trae protezioni e a chi ha risposto con la sua azione di governo. Tutto questo ci racconta Augusto Grandi, giornalista economico e torinese schietto, poco incline a concedere qualcosa al bon ton ed al politicamente corretto tanto in voga in questi mesi. Anzi, da sempre portato a cercare, dietro le parvenze, verità scomode. Non una biografia della Fornero soltanto, però, bensì un tassello del complesso mosaico del «potere occulto» di certi ambienti, si può dire così, tecnico finanziari torinesi connessi, strettamente, con ben più ampi - ed ancor più riservati ed oscuri - potentati interna-zionali. Un altro tassello di un mosaico che Grandi va, da tempo, ricostruendo con acribia e puntiglio,  da giornalista (e scrittore) di razza. Razza d’altri tempi, però,  quella che faceva giornalismo d’indagine senza guardare in faccia a nessuno, e della quale, purtroppo, oggi sembra essersi perduto lo stampo.  Per altro, con questo «viaggio intorno alla Fornero», integra e completa un’altra recente fatica, la biografia non autorizzata di Mario Monti, Il Grigiocrate, una ribalderia nella quale ho avuto la fortuna, con Daniele Lazzeri, di essere compare di Augusto Grandi. Ed anche per tale,
personalissima, ragione, sono particolarmente felice di inaugurare proprio con questo lepido libello di Augusto, una nuova collana che, non a caso, prende il nome di «Biblioteca degli Apoti». Rievocazione di quel «Manifesto degli Apoti» che Giuseppe Prezzolini vagheggiò, a suo tempo, di lanciar come sasso in mezzo agli opposti manifesti del fascismo e dell’antifascismo. Gli Apoti, prezzolinianamente, sono coloro che «non se la bevono». Una razza d’uomini, di Italiani della quale, in questo momento, c’è un gran bisogno di ritrovare le tracce.


ANDREA MARCIGLIANO

venerdì 14 giugno 2013

Crosetto-Sarko, Berlu-Giscard. Ma chi fa Le Pen?

Guido Crosetto, noto come "il gigante di Marene" sogna di trasformare i Fardelli d'Italia in un partito gollista. Ma non rifacendosi al Generale De Gaulle, altro personaggio di altezza fisica notevole, ma al caporale Sarkozy, un tappo. E, dunque, a capo di questa formazione destinata a diventare neogollista, con l'inserimento di tutti i trombati storici (da Storace a Bocchino), Crosetto vuol mettere la tappa Meloni. Sarà un partito - hanno spiegato gli osservatori nei giorni scorsi - conservatore e liberista. Dunque nulla a che spartire con quello che avrebbe dovuto essere il vecchio Msi. Scelta legittima, ci mancherebbe. Uno si fa il partito come crede. E Crosetto, che non arriva da Msi e neppure da An, nulla ha a che fare con la cosiddetta destra sociale. Coerente lui, che avrà mille difetti ma non è uno stupido, molto meno coerenti tutti gli altri. Problemi loro. Ma a fianco di Fardelli d'Italia sarkizzati, proseguono gli analisti politici, ci sarà il partito berlusconiano, giscardizzato. Sempre liberista, ma più aperto sul laicismo e meno attento ai valori morali. E qui parte una spiegazione non proprio convincente. Con i giscardiani (quelli veri, francesi) che sarebbero più abituati al governo ed i gollisti (sempre francesi) più movimentisti e radicati sul territorio. Se si va a valutare la permanenza al governo di Parigi dei due gruppi, si scopre che è esattamente l'opposto, ma non è questo il problema. La questione più interessante - soprattutto considerando che le analisi provengono dall'ambiente del centrodestra - riguarda le prospettive future dei due schieramenti. I gollisti francesi, tradendo completamente il pensiero di De Gaulle, hanno di fatto monopolizzato l'area del centrodestra, relegando i giscardiani ad un marginalissimo ruolo centrista privo di sbocchi e di senso reale. I giscardiani sono esistiti solo grazie a Giscard. Poi basta. Dunque, traducendo dal politichese, significa che gli analisti del centrodestra ipotizzano Crosetto-Meloni alla guida di quello che dovrà diventare il contenitore di maggiori dimensioni nell'area moderata, perché i berluscones giscardianizzati sopravviveranno sino a quando il lider maximo resterà in politica (ed in vita), per poi ridursi ad un movimentino irrilevante. Davvero credibile, questo scenario? Davvero Crosetto-Meloni - circondati dai La Russa, dai Bocchino, dagli Storace - avranno la capacità di crescere e di compattare l'elettorato? Certo, pensare che qualcuno si appassioni a fare il reggicoda di Alfano pare ancora più incredibile. Ed una galassia di micromovimenti provocati dall'esplosione del pdl non sembra, in questa fase, in grado di intercettare alcunché. Ma poi resta da considerare l'enorme area del non voto, dove stazionano le legioni (o le centurie?) della destra sociale politicamente defunta ma fisicamente sopravvissuta. Quella destra che, per rimanere al paragone francese, si riconosce in Le Pen. Soprattutto in Jean Marie, ma che ha comunque votato anche per Marine, ritrovandosi a fianco di elettori di provenienza gollista. Nessuno spiega, nelle dotte analisi italiane, chi dovrebbe intercettare questo voto. Più di un quinto dell'elettorato, ormai, in Francia. Zero virgola, in Italia. Perché questo elettorato dovrebbe seguire i liberisti-conservatori di Crosetto-Meloni? Per mancanza di alternative? Non funziona più così, in mancanza di alternative si sta a casa.

giovedì 13 giugno 2013

La disinformazione italiana non ammette critiche

Ma che perfidi questi tiranni in difficoltà che danno la colpa ai media. Lo spiega La Stampa, un quotidiano che non può certo essere accusato di parzialità, di faziosità, di informazione a senso unico. Oddio, se Washington e la City ordinano, il giornale agnellesco-elkanniano scatta. Ma è una coincidenza, ovviamente. E se la tv pubblica greca è costretta a chiudere a causa dell'austerità imposta dai mercati, la notizia è di poco conto. Ma i problemi di Messi con il fisco spagnolo finiscono in una grande foto in prima pagina. Un problema di valutazione della notizia, chi potrebbe pensare che i media italiani censurano i disastrosi effetti delle politiche di austerità imposte dall'Europa e dai mercati? E se i suicidi effetto delle riforme Fornero finiscono nelle pagine interne, raccontati in poche righe, è solo per esaltare la bravura dei cronisti capaci di sintetizzare, mica per nascondere la gravità del problema. E le contestazioni all'afroministro fischiato a Milano perché si lancia, con la scorta, in manovre contromano? Beh, non è che ci sia spazio proprio per tutto, servono paginate intere per spiegare come dare o non dare la mancia in Scandinavia. E allora i fischi all'afroministro spariscono dall'informazione. Oddio, non è che la risposta dei lettori sia proprio entusiasmante. Oltre 1 milione di lettori persi dai quotidiani italiani negli ultimi tempi. Mica è poco. Ma non è che questi dati banali scuotano più di tanto direttori ed editori. Gli italiani si sono stufati di leggere giornali con i medesimi titoli e le medesime analisi? Peggio per gli italiani. I direttori ed i caporedattori continueranno a concordare titoli e servizi con i giornali che, un tempo, rappresentavano la concorrenza. Tanto il tour dei direttori è sempre lo stesso. E se i conti non tornano più, si licenziano i giornalisti, mica i direttori. E si premiano gli amministratori che licenziano. Tanto il "prodotto" giornale non è importante. La qualità è un optional, quando non si trasforma in un fastidio vero e proprio per chi preferisce un'informazione al servizio di logiche che nulla hanno a che fare con l'onestà e la correttezza. Si svaluta la professionalità dei giornalisti, perché un'informazione corretta può essere pericolosa. E si invitano i lettori a trasferirsi sulla rete. Non perché sia un luogo di libertà ed onestà assoluta. Ma solo perché l'enorme massa di informazioni rende impossibile controllarne la veridicità. Ed i professionisti della disinformazione mirata hanno buon gioco per far emergere ciò che a loro interessa davvero, spacciandolo per un'informazione che proviene dal basso, che è davvero libera. I tiranni lo sanno. Ma guai se se ne lamentano. Perché i giornali al servizio del potere unico si offendono quando vengono smascherati.

mercoledì 12 giugno 2013

Berlu vuole il partito Usa. Gli italiani quello Usa e getta

Non sono cattivi, sono proprio stupidi. Incassano un disastro elettorale completo e cosa fanno? Innanzi tutto giurano fedeltà al governo Alfetta che ha rotto i maroni a tutta Italia, che non ha combinato nulla, che continua a fare la somma di suicidi per disperazione economica. Poi, con calma, si rendono conto di essere stati spazzati via da tutte le grandi e medie città d'Italia e, con altra calma, ipotizzano di cambiare la struttura del partito. Anzi, dei partiti. Di tutto il centrodestra. Come se il problema fondamentale non fosse la mancanza di idee, di uomini, di classe dirigente, di radicamento sul territorio. No, per loro il problema è la collocazione della sede. E' la scelta tra partito liquido e partito gassoso, ossia tra la diarrea ed una flatulenza. Ma se il Pdl dell'eterno Berlu pensa - su ordine dello yankee Capezzone - di trasformarsi in un partito in stile Usa (dove la scarsa affluenza elettorale è la prassi), più a destra la banda degli sconfitti sogna di riaggregarsi e di rifare An bis, la vendetta. Non uno, del Pdl o dei Fardelli d'Italia, che provi a pensare agli elettori. Ossia alla ragione sociale dei loro partiti e partitini. Vogliono rimettersi insieme La Russa, Alemanno e Storace? Bene, e chissenefrega? Eravamo 4 amici al bar. Con l'immenso patrimonio della fondazione An: meglio per loro. Ma perché qualcuno dovrebbe votarli? Per andare dove? Per fare cosa? A Torino il leader dei Fardelli promette le primarie in vista delle prossime consultazioni. Bene, ma perché qualcuno dovrebbe partecipare per sancire le scelte politiche che nessuno condivide? Gli elettori, reali o potenziali, dovrebbero essere consultati ed incontrati quando si decide di licenziare 200 persone che lavorano in Regione per salvare invece i propri portaborse. Ma no, loro decidono strategie e tattiche e poi sperano che tutti vadano a votare alle loro primarie. Spes ultima dea. E il Pdl liquido-gassoso? Farà convention, si confronterà con il web, poi scoprirà che il popolo pidiellino non vuole il governo Alfetta e allora cosa farà il partito? Ignorerà le indicazioni e proseguirà a sostenere un governo di inetti nella speranza che salvino Berlu dai magistrati. Liquido o gassoso, ma non cambia nulla. Intanto il Pd, dilaniato e privo di un collante ideologico, conquista tutto il piatto. Perché rinnega il Pci, ma del Pci (e pure della Dc) prosegue la politica fatta di assunzioni di amici e parenti, non solo in ambito pubblico, ma anche nelle aziende private dei propri sostenitori. Non è liquido, il Pd. E mette in campo le cooperative che ottengono appalti e gestiscono supermercati dove far lavorare chi poi voterà. Qualcuno impedisce al liquido Pdl di assumere con intelligenza nei supermercati dei propri sostenitori? Il Pd occupa gli assessorati alla Cultura, e garantisce finanziamenti e lavoro a chi è allineato. Che si tratti di musicisti o di pittori, di scrittori o ballerini. Il gassoso Pdl sceglie i propri assessori alla Cultura sulla base delle discoteche frequentate. Il Pd, che non è gassoso, favorisce la carriera di giornalisti di area, perché più fan carriera e più sono d'aiuto. Il Pdl, liquido-gassoso, assume i disoccupati che costano meno ed evita in ogni modo di sostenere i giornalisti d'area. Perché, magari, si trasformano in politici che fanno concorrenza interna. I risultati si sono visti. Ed i voti si sono liquefatti o sono evaporati. Perché il partito "americano" che piace a Capezzone, avrà la percentuale di votanti tipica degli Usa, dunque molto bassa. Mentre il partito pesante del Pd avrà il suo zoccolo duro di elettori che andranno a votare a prescindere. E se l'elettorato italiano diserta le urne, a disertare sono soprattutto quelli che non si sentono legati al partito Usa e getta.

martedì 11 giugno 2013

Non è morta la destra sociale, ma la classe dirigente

Trionfo a Bussolengo! Chi avrà ancora il coraggio di sostenere che il centrodestra è stato spazzato via? D'accordo, sparisce da tutte le grandi città e pure da gran parte di quelle medie. Ma Bussolengo è Bussolengo, chissenefrega di Roma, Milano, Napoli e Torino. Beh, al di là della facile ironia, Bussolengo potrebbe diventare un esempio per un'area che è stata, finalmente, spazzata via. Perché non è vero ciò che sostiene Sallusti sul Giornale: l'annientamento di Aledanno a Roma non mette fine alla storia della cosiddetta destra sociale ma conclude - in drammatico ritardo - la stagione politica di una classe dirigente inetta, indecente, venduta, inadeguata. Si possono scegliere le definizioni che si preferiscono, ma il risultato non cambia. Il popolo di questa destra sociale non è sparito, ma non ha più abboccato all'amo di chi l'ha preso per i fondelli in tutti questi anni. Ora basta. E basta anche con l'alibi di Berlu che dovrebbe scegliere personalmente i candidati nelle città. Lui, Berlu, avrebbe preferito Marchini ad Aledanno, sostengono i reggicoda del cavaliere di Arcore. E sai l'entusiasmo del popolo di centrodestra per uno come Marchini. Lui, Berlu, è quello che ha imposto giovani bellocci e da discoteca come candidati sindaci in grandi città. Con risultati peggiori persino di quelli di Aledanno. Lui, Berlu, è quello che ha collocato parenti, amici, amiche degli amici in Comuni, Province, Regioni e Parlamento. Lui, Berlu, è quello che ha voluto il governo Alfetta e si è goduto il trionfo. Mentre gli italiani che l'hanno votato stanno ancora aspettando fatti concreti sull'Imu (non basta un rinvio), sulle riforme Fornero, sul braccio di ferro con Merkel. Perché il "partito leggero" che piace tanto a Berlu, è così leggero da essere evaporato, svanito. Così leggero da non essere in grado di esprimere un concetto, un'idea, un candidato. Tutti troppo leggeri per far qualcosa, e allora si affidano a Berlu, sperando che il suo carisma basti per tutto e per tutti. Non basta più. Come non basta, alla destra sociale, la buffonata dei manifesti con Almirante piazzati la settimana prima del voto. Gli ex colonnelli - che erano poco più di caporali di giornata - non sono all'altezza di guidare un partito, un movimento. Di guidare qualsiasi cosa che non sia il trenino di imbecilli alle feste danzanti di capodanno. Non li vota più nessuno. E non servono i richiami alla tribù, perché in quella tribù erano solo loro a mangiare, mentre gli altri dovevano lavorare gratis in nome dell'Idea. Allora si deve ripartire da Bussolengo. Prendendo atto di non avere la classe dirigente giusta nelle grandi città - perché le persone meno incapaci sono state eliminate scientificamente - e ripartendo dalla provincia. Dove, evidentemente, ci sono ancora persone che sanno dialogare, sono credibili, sono competenti. E dove gli elettori potenziali non si mettono a fare distinguo assurdi: io lo voterei anche, ma il suo segretario mi sta antipatico; io lo farei anche, un partito con lui, ma nel 72 ha detto una cosa che non mi è piaciuta. Ripartire da Bussolengo significa cacciare una classe dirigente di incapaci, ma significa anche rinunciare a tutti coloro che non sono disposti a dimenticare una risposta scortese del 1984 o una presa di posizione non condivisa nel '92. Far politica significa anche accettare le diversità di chi sta a fianco. Lottando insieme per un obiettivo comune che comprende anche delle interpretazioni differenti.

lunedì 10 giugno 2013

Tutte le città italiane alla sinistra. E il centrodestra si dedica all'onanismo

Peggio di Aledanno a Roma, solo Coppola e Buttiglione a Torino. Umiliante la sconfitta del sindaco uscente di Roma. Ma il centrodestra ormai si è abituato a non fare un plissé di fronte a sconfitte continue e devastanti. Roma arriva dopo Torino, Genova, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Palermo. E si potrebbe continuare. Il centrodestra si occupa solo dei processi del suo lider maximo e lascia che tutte le principali città italiane vengano governate dalla sinistra: davvero geniale. D'altronde le rare volte che azzecca un candidato sindaco vincente, il centrodestra si impegna immediatamente ad amministrare seguendo le indicazioni della sinistra. Per non aver problemi, spiegano gli strateghi ed i tattici dell'area. E poi, alla scadenza dei 5 anni, si chiedono come mai i propri elettori disertino le urne. Già, anche la sinistra ha perso elettori. Ma ne perde meno e vince. Perché, a sinistra, gli elettori sanno che il "loro" sindaco farà la "loro" politica. Immigrati, zingari, cultura a senso unico. E' quello che vogliono, è quello che ottengono. Poi magari Pisapia scivola sul divieto del gelato, ma non è il cono della mezzanotte a trasformarsi in un ostacolo insormontabile. Gli Aledanno di turno, invece, conquistano la poltrona da primo cittadino e subito rinnegano il proprio passato e la propria provenienza. Dimenticando di essere stati votati proprio per quel passato e per quella provenienza. E se poi, come amministratori, evidenziano lacune di ogni tipo, non possono pretendere di essere rieletti. Da un voto ideologico? E perché mai, se hanno rinnegato tutto? Da un voto per la buona amministrazione? Viene da ridere. Dunque si passa di sconfitta in sconfitta. Di scelta del peggiore in scelta di uno che possa essere ancora peggiore. Di nullità in nullità. Chiedendo di votare il nulla cosmico solo perché l'avversario è brutto, cattivo e mangia i bambini. Di votare per Aledanno, che ha sprecato soldi per i Rom facendo finta di niente, perché Marino li spenderà dichiarandolo. Troppo poco per poter sperare di continuare a prendere per i fondelli gli elettori. Così, mentre gli strateghi del centrodestra si trasformano in super esperti di onanismo intellettuale discettando su sistemi elettorali alla francese o alla tedesca, tutte le principali città italiane vengono governate dalla sinistra. Il che significa cultura di sinistra, politiche di sinistra, crescita professionale riservata agli amici della sinistra, finanziamenti alle associazioni di sinistra, alle cooperative di sinistra. E cooptazioni di intellettuali, economisti, musicisti, artisti, docenti, sportivi di sinistra in qualsiasi organismo, possibilmente remunerato con denaro pubblico. Così si crea la futura classe dirigente della sinistra. Così si occupano tutti i posti che contano. Così si conquista la società e, di conseguenza, l'elettorato. Ma chiusi nella loro torre delle cene eleganti, gli strateghi del centrodestra non capiscono. E per far vedere che non si mangiano in feste tutti i soldi della politica, la fondazione di Alleanza Nazionale lancia anche una utilissima campagna di affissioni per ricordare Almirante. Perché spendere soldi per fare una politica che guardi avanti pare troppo azzardato.

venerdì 7 giugno 2013

Fmi: troppa austerità. Bce-Ue: va bene così

Ma sono più bastardi quelli del Fmi o gli irresponsabili della Bce e dell'Ue? La disputa, questa volta, riguarda la Grecia. E il Fmi, dopo aver concordato con Ue e Bce la macelleria sociale, adesso fa autocritica, sostenendo che con Atene si è un po' esagerato. Morti, suicidi, disperati, bambini che svengono a scuola per la fame, medicine che non vengono più fornite ai malati: davvero un po' troppo persino per le sanguisughe del Fondo monetario. Le stesse sanguisughe, è bene ricordarlo, che avevano provocato il default dell'Argentina prima che Nestor Kirchner e la moglie Cristina usassero le imposizioni del Fmi come carta igienica (e riducendo, in questo modo, la povertà del Paese latinoamericano). Ma se gli orchi del Fmi fanno autocritica, i criminali dell'Ue e della Bce si guardano bene dall'adeguarsi. Si autoassolvono e si autocompiacciono. "Abbiamo fatto ciò che andava fatto", ribadiscono. E chissenefrega dei morti, degli affamati, dei malati non curati e dei bambini senza futuro. Le banche sono state tutelate e va bene così. Le persone passano e crepano, le banche ed i banchieri sono immortali e restano ad opprimerci per sempre. Eppure, nell'indifferenza degli orchi, qualcosa si sta muovendo in tutta Europa. Il disastro dell'euro e della Bce è messo sotto accusa da nuovi movimenti in Francia e persino il redivivo Berlu trova l'ardire per chiedere al governo Alfetta di tentare un braccio di ferro con la Merkel. Che è poi quello che avrebbe dovuto fare lo stesso Berlu, da premier, invece di limitarsi a definirla (mai così tanto giustamente) "culona inchiavabile". Qualche battuta in meno e qualche iniziativa politica in  più avrebbero evitato all'Italia il dramma del governo del grigiocrate Monti. Avrebbero evitato i morti da disperazione per le riforme Fornero. Avrebbero evitato il crollo dell'economia italiana sotto il peso di manovre demenziali e criminali. Dov'era Berlu, in quei momenti? Impegnato nelle cene eleganti? Dov'era quando si trattava di dire no al fiscal compact o al pareggio di bilancio? Un po' tardi, adesso, per ingaggiare il braccio di ferro da una posizione di debolezza e con l'Alfetta ingolfata e con poca trazione. Meglio tardi che mai, certo. Ma meglio pensare a gente nuova che sia in grado di vincerlo, il braccio di ferro. Che sia in grado di garantire un rilancio e non solo l'austerità che uccide. Che sia in grado di cancellare la politica fiscale assurda ed i vincoli che, per far contente la Bce e l'Ue, impediranno qualunque ripresa e condanneranno a morte l'Italia. Perché non basta una sollecitazione di un sempre più vecchio Berlu ad un governo di nani per invertire la rotta mortifera.

giovedì 6 giugno 2013

2 per mille ai partiti? E' una schedatura degli elettori

Il voto è libero e segreto. Lo sostiene quella cosa strana, utilizzata a giorni alterni ma solo se fa comodo, che si chiama Costituzione italiana. Articolo 48, comma 2. Così, tanto per ricordarlo a quelli che utilizzano il libretto solo per difendere la casta dei magistrati. E che non hanno avuto nulla da dire di fronte alle proposte per introdurre il finanziamento dei partiti attraverso il 2 per mille nella dichiarazione dei redditi. Già, perché con questa bella pensata il cittadino dovrà scrivere e sottoscrivere la sua appartenenza politica. Dovrà scegliere il suo partito ed indicarlo nella dichiarazione. E' vero, formalmente non si tratta del voto, ma il senso della Costituzione è di garantire la riservatezza della scelta politica, non soltanto nel momento in cui si inserisce la scheda nell'urna. Ed è difficile pensare - se non si è in malafede - che un cittadino destini i propri soldi ad un partito diverso da quello che intende votare. Una schedatura in piena regola. E si sa quanto facciano paura le schedature in un Paese che ha a che fare con una magistratura politicizzata e a senso unico. Una magistratura che, anche quando il caso non è strettamente partitico, non perde occasione per dimostrarsi nemica dei cittadini, come si è visto con il "caso Cucchi". Ed ora, in questo Paese ed in queste condizioni, si chiede ai cittadini di autodenunciare la propria appartenenza politica. Certo, arriveranno le assicurazioni sulla segretezza dei dati: li vedrà solo il commercialista e le segretarie, gli addetti del Caf, l'Agenzia per le entrate con tutti gli impiegati. E nessuo racconterà alcunché in giro. Basta crederci. Così il popolo del centrodestra, quello che si dichiara di centrosinistra anche nei sondaggi per la vigliaccheria del "non si sa mai", eviterà accuratamente di finanziare i propri movimenti. Per non rischiare aggressioni dall'Agenzia delle Entrate, ritorsioni da Iniquitalia, penalizzazioni sul posto di lavoro, impossibilità di carriera, esclusioni sociali. E più sarà debole la posizione sociale, più sarà scarsa la voglia di firmare per un partito ritenuto scomodo. Si destinerà il 2 per mille alla Lega se l'impiegata del commercialista ha un accento romano? O lo si devolverà ai Fardelli d'Italia quando l'addetto del Caf indossa una maglietta con l'effige del Che? Già adesso l'elettorato si nasconde dietro il consueto "io farei di più, ma poi mi farebbero pagare le scelte", figuriamoci dopo. Ma in fondo è giusto così. Il centrodestra appoggia questo governo Alfetta, con il Pdl che è convinto dell'immortalità di Berlusca e, quindi, della mancanza di necessità di costruire un partito vero e che sia finanziato dagli elettori. I Fardelli al Parlamento non se li fila nessuno, non contano nulla e manco si sa quali siano le loro posizioni (certo, utilizzare i soldi dell'enorme patrimonio immobiliare permetterebbe di creare organi di informazione utili alla bisogna, ma è meglio tenere tutto per sè), i movimenti non presenti in Parlamento non hanno voce in capitolo e la Lega è alle prese con i casini interni. Così nessuno si accorge di andare verso una colossale fregatura. Che avrà, però, qualche indubbio merito. Perché se il centrodestra riuscirà a convincere gli elettori a firmare per il 2 per mille, nonostante le paure, non potrà certo riuscirci presentando le facce dell'ultima volta. Chi avrà la voglia di regalare dei soldi a Capezzone? E a Ignazio? Il 2 per mille per far campagna elettorale lanciando palloncini e non idee? Il 2 per mille per avere assessori che boicottano i propri elettori a vantaggio di quelli dell'altra parte? In fondo è come la richiesta di far giudicare gli insegnanti da parte degli studenti. Con la differenza che le scelte degli studenti sono segrete.

mercoledì 5 giugno 2013

Benedetto XVI vince l'AcquiAmbiente, boicottato dalla Regione

Quando si dice avere il senso delle cose.. La Regione Piemonte, amministrata (male) da Pdl-Lega-Fdi-Progettazione, si impegna a tagliare ogni cosa. Lascia a casa 200 precari (possono sempre suicidarsi, Fornero docet), riduce in ogni modo i finanziamenti alla cultura, perché tanto la cultura non la capisce. E taglia i contributi alle iniziative di un Comune come Acqui Terme, amministrato (bene) dalla medesima maggioranza. E che saranno mai i premi come l'Acqui Storia o l'Acqui Ambiente? Chi li conosce? Li conosce, ad esempio, Marine Le Pen che l'anno scorso ha inviato in concorso un suo volume. E li conosce Benedetto XVI che, da Papa in carica, ha inviato un suo volume in concorso per l'Acqui Ambiente. E che da Papa Emerito, l'ha meritatamente vinto. "Per una ecologia dell'uomo" si intitola il volume premiato. A dimostrazione che persino il centrodestra, quando si affida alle persone giuste, è in grado di apprezzare e valorizzare i temi ambientali. E, soprattutto, è in grado di farsi apprezzare in Italia e all'estero per la qualità delle proprie iniziative culturali. La decisione di Ratzinger di partecipare ad un concorso letterario, a questo concorso letterario, è la più clamorosa smentita nei confronti dei minus habens che, eletti dal popolo del centrodestra, insistono a foraggiare esclusivamente la cultura della parte opposta, nella convinzione (sacrosanta) di non valer nulla in proprio ma anche nella convinzione (totalmente sballata) che l'intera area non abbia nulla da offrire. E dopo la passerella del Pd al Salone del Libro - che incassa non poco dall'assessorato regionale alla Cultura - deve essere una città come Acqui a smentire tutto e tutti. Contro i colleghi di schieramento convinti che i libri servano da mettere sotto una gamba del tavolo quando "balla" o da collocare - uno solo - in una libreria per dare un tocco di colore; contro i giornali di parte avversa che non perdono occasione per attaccare le scelte delle giurie, dal momento che non premiano esclusivamente i volumi politicamente corretti. Benedetto XVI ha compiuto una scelta coraggiosa, decidendo di mettersi in gioco in quella che è comunque una competizione, anche se culturale. Altri, che dovrebbero occuparsi di cultura, preferiscono mettersi in gioco nelle gare di corsa con ex sindaci. Si tratta di scelte. Si tratta di cultura.

martedì 4 giugno 2013

La globalizzazione uccide anche te. Dille di smettere

Quando una farfalla batte le ali in Occidente, a Pechino arriva un uragano. E' una massima di dubbia paternità (probabilmente deriva da un libro di fantascienza), ma utilizzatissima da tutti i sostenitori della globalizzazione. Siamo in una economia globale, ci ripetono ad ogni istante. Beh, ce lo ripetevano ad ogni istante. Ora un po' meno. Perché gli effetti della farfalla cominciano a provocare disastri ovunque. Ed i globalizzatori deficienti - cioé quelli che sposano le cause sbagliate nella convinzione che siano giuste - non sanno più come spiegare il casino che hanno combinato. Mentre gli speculatori, che la globalizzazione l'hanno voluta ed imposta, incassano enormi ricchezze a danno della collettività mondiale. Prima ci hano spiegato che era giusto fare sacrifici ed anche impoverirci, perché le nostre difficoltà avrebbero permesso l'arricchimento dei Paesi poveri. Poi si sono accorti che i poveri, quelli veri, restavano poveri. Allora ci hanno illustrato l'ineluttabilità della crescita esponenziale dei Bric, trasformati in Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).  Ma adesso non san più cosa inventare. La Cina frena, l'India pure e la Russia anche. Il Sudafrica era stato inserito nell'elenco più per ragioni politiche che per successi economici. Il Brasile tira ancora, ma non si sa quanto pagherà realmente per Olimpiadi e Mondiali di calcio. Ma se la frenata si estende sempre più, gli effetti ricadono anche sui Paesi che si consideravano virtuosi. Il Pil tedesco cresce sempre di meno e si avvicina alla crescita zero. Gli Stati Uniti non si riprendono. Il Giappone, che se n'é fregato delle lezioni internazionali e ha puntato ad una ripresa basata sul debito, ha visto la Borsa di Tokyo crescere del 40% in pochissimo tempo, ma poi frenare a causa della ridotta crescita cinese. Eccola, la globalizzazione. Globalizzazione della povertà e dello sfruttamento. Perché gli impegni, Napo II docet, vanno rispettati. In realtà lo strozzinaggio è vietato dalla legge, ma noi siamo così bravi e legalitari che paghiamo gli strozzini facendo crepare la nostra gente, sempre pioù disperata. E plaudiamo quando un imbecille cattedratico arriva al Festival dell'economia di Trento a spiegarci che, per fare i compiti da bravi bambini, dobbiamo raddoppiare l'Imu e ridurre i salari. Così, secondo lui, favoriremmo le esportazioni. Ma il genio non spiega dove dovremmo esportare, visto che i consumi frenano ovunque. E non spiega neppure come dovrebbero sopravvivere gli italiani, con più disoccupazione, salari più bassi e tasse più alte. Ma il genio, si sa, non conosce la banale realtà degli umani.

lunedì 3 giugno 2013

Dall'Alessi un segnale: pagare i dipendenti per lavori socialmente utili

La fabbrica va incontro a cali di commesse, e dunque di lavoro, nel periodo estivo? Si ricorre a ferie forzate e magari alla cassa integrazione. Oppure si fa come l'Alessi (che produce oggettistica per la casa) e si pagano i propri dipendenti che accettano di fare lavori utili per la città, per il territorio. Quei lavori che - secondo i soliti imbecilli politicamente corretti - gli italiani non vorrebbero più fare e sarebbero riservati solo agli immigrati. Tipo tagliare l'erba nei giardini degli asili, dare il bianco ad un magazzino, ripulire un edificio abbandonato. Alessi, ovviamente, non ha imposto nulla. Ha lasciato ai dipendenti la libertà di scelta tra i consueti ammortizzatori sociali o i lavori sociali. E quasi all'unanimità i lavoratori hanno deciso di far qualcosa per la propria gente, per la propria città. Impiegati imbianchini, operai giardinieri, manager facchini. Altro che choosy. Ma se, in questo caso, occorre riconoscere la generosità dell'azienda oltre alla disponibilità dei lavoratori, non si capisce perché esperimenti di questo tipo non possano essere replicati ovunque. Gli introiti della cassa integrazione sono insufficienti per vivere e rappresentano, per chi non è onesto, la condizione ideale per lavorare in nero. Mentre gli enti locali lamentano la carenza di risorse per sistemare le sponde dei fiumi, per mettere in sicurezza montagne e colline, per ripulire giardini e parchi, per ridipingere e aggiustare panchine. Non si fa manutenzione perché mancano i soldi. Ed allora, con una spesa nettamente inferiore, si potrebbero impiegare i cassintegrati per questi lavori, intervenendo soltanto per integrare il salario e riportarlo ai livelli normali di attività. Concorrenza sleale nei confronti delle ditte che si occupano di manutenzione? Sarebbe così, se queste ditte potessero lavorare. Ma se queste aziende non vengono comunque utilizzate, meglio che ci sia qualcuno che possa lavorare e che contribuisca a ripulire le città ed a mettere in sicurezza il territorio. Anche perché i costi della continua emergenza devono comunque essere pagati. Prevenire una frana costa molto ma molto meno rispetto agli interventi per rimediare alla frana. Case distrutte, terreni agricoli resi inutilizzabili, danni alle infrastrutture. Dando occupazione e reddito ai cassintegrati si permetterebbe invece di restituire coraggio e dignità ai lavoratori momentaneamente (e sempre più perennemente) in esubero, si rilancerebbero i consumi, si favorirebbe l'uscita dalla paura della sopravvivenza quotidiana. Ma si dimostrerebbe la falsità interessata dei sostenitori del politicamente corretto. Si scoprirebbe che, con stipendi corretti, gli italiani spazzano, curano, dipingono. Sarà per questo che si evita di metterli alla prova.