lunedì 27 febbraio 2017

Trump e Le Pen contro i media. Le destre italiane li coccolano

Trump è ormai sceso in guerra contro i grandi quotidiani e le maggiori emittenti televisive degli Stati Uniti. Marine Le Pen dichiara guerra alla disinformazione ufficiale francese. Solo in Italia i leader e leaderini del centrodestra e delle destre più o meno terminali sono sempre alla disperata ricerca di qualche comparsata in programmi dove vengono, immancabilmente, criminalizzati. Certo, le differenze sono sostanziali. Trump dispone di una rete alternativa di organi di informazione schierati con lui. Le Pen, che non ha grandi quotidiani o tv dalla sua parte, si è creata un'alternativa che passa attraverso i social gestiti con professionalità. In Italia siamo sempre ai "dilettanti allo sbaraglio". L'unico che dispone di media teoricamente in grado di contrastare la dittatura dell'informazione a senso unico è Berlu. Che, però, ha schierato Canale 5 sul fronte opposto. E' il canale, con il Tg, più politicamente corretto, schierato con i migranti e contro gli italiani, a favore del governo e contro le opposizioni di ogni tipo. Libero, Berlu, di fare ciò che vuole con le sue tv e con i suoi giornali. Ma gli altri leader e leaderini cosa fanno? Giornaletti online semiclandestini, radio poco ascoltate. L'alternativa sarebbe rappresentata da investimenti seri. Anche da imprenditori seri vicini ai vari partiti, partitini e movimenti vari. Invece nulla. Meglio una mostra piuttosto di rischiare di confrontarsi con una radio che faccia informazione alternativa a livello professionale. I costi, ormai, sono limitati. E i costi sono ancora più limitati per una informazione online. Li affronta il FN, non solo Trump. Se gli Usa, per mille evidenti ragioni, non sono oggettivamente paragonabili con l'Italia, la Francia lo è. E il Fn ha meno parlamentari di qualsiasi formazione politica italiana. Ma qui, piuttosto di investire, si preferisce fare la piangina e lamentarsi per la scorrettezza delle reti tv controllate dai "cattivi Komunisti" che non danno spazio agli oppositori. O ci si lamenta dei cattivi giornalisti al servizio del pensiero unico e della globalizzazione. Non si capisce perché i globalisti dovrebbero sprecare i loro soldi per concedere spazio, sui loro media, a chi si dichiara loro nemico. Le Per, perlomeno, si schiera, attacca, accusa. Da noi si pietiscono inviti in trasmissioni indecenti, a senso unico. Per avere la possibilità di farsi notare, di ricordare al mondo che si esiste ancora. Piuttosto di creare una informazione alternativa si preferisce rinunciare ad un briciolo di dignità comparendo in programmi che, dopo, si criticano in preda all'indignazione. Si concedono interviste che vengono puntualmente sconvolte ed utilizzate contro l'intervistato. Ma chissenefrega: ci sarà una nuova mostra per pochi intimi per celebrare ricordi lontani.

sabato 25 febbraio 2017

Gli italiani bocciano Uber e i giornalisti

Aveva ragione la Botteri: se i giornalisti non riescono a manipolare l'opinione pubblica, dove si andrà a finire? E non solo negli Stati Uniti. La Busiarda (in arte La Stampa) ha scoperto, con grande fastidio, che la campagna scatenata dai quotidiani di servizio a favore di Uber e contro i tassisti non è servita a nulla. Il 70% degli italiani è dalla parte dei taxi regolari. Solo giornalisti ormai rassegnati a non pensare e pronti ad accettare ogni imposizione dai vertici possono stupirsi del risultato del sondaggio. Per due ragioni fondamentali. La prima è che buona parte degli italiani non può più permettersi né il taxi né Uber. Ed è già tanto se può pagare il prezzo del biglietto dei mezzi pubblici. La seconda, molto più importante, è che persino il gregge italiano si è reso conto che Uber rappresenta solo l'ennesimo cavallo di Troia per la distruzione dei lavori regolamentati e, in qualche modo, tutelati. E' vero che con Uber si risparmia (non sempre), ma solo perché la precarietà degli autisti cresce a dismisura. E le famiglie italiane hanno già scoperto sulla propria pelle cosa significhi, in realtà, questa precarietà. I lavoretti sottopagati dei figli, i licenziamenti facili per i genitori, le pensioni sempre più magre dei nonni. Voucher e Uber sono soltanto la nuova forma, legalizzata, del caporalato più schifoso. Oggi lavori 8 ore e te ne pago una con un voucher e altre due in nero. Le altre non te le pago. Se non ti va bene ci sono migliaia di disoccupati pronti ad accettare questo ricatto pur di guadagnare qualcosa. Un copione che si sta ripetendo in ogni settore. Compreso quello del giornalismo. Ma chi si scatena per sostenere la precarietà alla Uber fa finta di non accorgersene. O forse, davvero, non è in grado di comprendere. Non è sicuro se, invece, i politici della sedicente opposizione saranno in grado di comprendere questo segnale che proviene dalle famiglie italiane. Se saranno in grado di interpretarlo, evitando l'ottusa esultanza per il mancato referendum sull'articolo 18. Il lavoro è il campo di battaglia per la politica italiana. Ma pochi sembrano averlo capito e sono ancora meno numerosi quelli che provano a proporre soluzioni che vadano al di là dello slogan.

venerdì 24 febbraio 2017

Le "visioni" dei Le Pen contro gli ordini della Silicon Valley al bugiardissimo

Il bugiardissimo vola in California per farsi suggerire i nuovi ordini da applicare in Italia. Passa dai banchieri della City ai padroni delle multinazionali che controllano il pianeta con Google e Facebook. Una risposta ben più chiara di quella di Del Rio ai taxisti. Per il bugiardissimo il futuro è Uber, certo non Flixbus che ha il torto di essere europeo e di far lavorare le aziende italiane degli autobus, invece di sfruttare i singoli automobilisti. Se poi i consigli all'ex premier arrivano da Fukuyama - il genio che preconizzò la "fine della storia", salvo accorgersi in grave ritardo della cantonata appunto storica - possiamo essere tranquilli che si tratterà di un disastro per gli italiani. Quali sono gli ordini di Oltreoceano? Insistere sulla precarietà spacciata per flessibilità. Insistere sull'impoverimento dell'Italia, sulla distruzione dei ceti medi, sull'eliminazione di ogni forma di tutela. Insistere sull'immigrazione di massa per disporre di quello che Marx definiva "esercito industriale di riserva" per abbattere ulteriormente salari, diritti, speranze. Insomma, la solita ricetta del bugiardissimo ma elevata al quadrato. La ricetta che piace, non a caso, anche a Macron. Ossia al candidato che, in questo momento, appare vincente al ballottaggio per le presidenziali francesi. Tutti con lui, i poteri forti. Non più in nome di un antifascismo che - a più di 70 anni dalla fine della guerra - appare stupido come una polemica politica su Orazi e Curiazi. Ma in nome dell'Europa dei tecnocrati contro l'Europa dei popoli sostenuta dai populisti. Ma anche se Macron dovesse vincere e il FN spaccarsi dopo la sconfitta, il segno lasciato da Marine Le Pen sarebbe indelebile. Perché, tra un errore e l'altro, Le Pen ha proposto la visione di un altro mondo, di un'altra realtà, di un altro futuro per la Francia. Non le solite banalità degli slogan contro questo o contro quello. Non gli ordini della Silicon Valley per asservire l'Italia. Una visione. Magari non realizzabile in toto, ma i popoli ridotti alla fame hanno bisogno di sognare un futuro diverso da quello della schiavitù. E nel silenzio quasi assoluto, anche Jean Marie Le Pen ha presentato la sua visione della Francia del futuro. Divisi in famiglia, divisi in politica, ma i due Le Pen sono uniti dalla consapevolezza che occorra volare alto per ridare forza e speranza a popoli disperati. Ora occorrerebbe che la capacità di proporre una visione superasse il confine tra Monginevro e Claviere. Per diffondersi in Italia e andare al di là della lotta su uno stadio, sulle piante di banane o sugli accordi post elettorali per portare conduttori televisivi a Mediaset a costo ridotto.

mercoledì 22 febbraio 2017

Il Pd si spacca per ingannare gli italiani

Marciare divisi per colpire uniti. La grande scissione del Pd si trasforma in una mera operazione elettorale. Lo ammette Bersani, lo conferma Rossi. Bisogna andare a recuperare i voti di un popolo non deluso ma disgustato e penalizzato dalle politiche del bugiardissimo. E poi? E poi, con i nuovi voti, ci si allea di nuovo con il bugiardissimo. Non ci sarà da aspettare molto: le amministrative di primavera vedranno i nemici di oggi tornare ad accordarsi. Come se nulla fosse successo. Forse perché davvero non è successo nulla. Il nemico è la destra populista, spiega Bersani. E non perché propone programmi anti popolari ma proprio perché, al contrario, può conquistare il voto dei ceti più impoveriti dalle criminali politiche del grigiocrate Monti prima e del bugiardissimo poi. Non a caso il Pd , dopo la minaccia di scissione, rilancia una politica che ancora una volta ignora il popolo italiano. Qual è la vera emergenza italiana? Chi risponde "il lavoro" è un populista. Per il Pd la priorità è lo ius soli. Lo ha spiegato Orfini. Bisogna far votare i migranti per sperare in una crescita del consenso per il Pd. Gli italiani si arrangino. Gli arrabbiati si facciano convincere dalla "cosa rosa" di Bersani che poi appoggerà il bugiardissimo come prima. Tanto gli avversari continuano a farsi male da soli. Caso mai con il contributo di una informazione sempre più servile. Pronta a cavalcare qualsiasi polemica contro ogni opposizione. Non bastano i sondaggi per vincere, occorrono anche programmi. Servono "visioni " accompagnate da progetti realizzabili. E con la capacità di comunicarli. In caso contrario la Ditta bersaniana si ricomporrà e avrà ancora una guida del bugiardissimo.

sabato 18 febbraio 2017

facebook fa politica, la politica italiana non comunica

Facebook dichiara guerra a Trump. Lo fa pubblicamente, esplicitamente. Solo in Italia si procede con lo schifo di una ipocrisia che spaccia per verità assolute quelle che sono evidenti faziosità. Facebook si schiera e invita i suoi utenti a fare altrettanto. I clintoniani sconfitti con i loro quotidiani cercano la rivincita attraverso i social. Troppo lontani dal popolo i giornali e le TV degli oligarchi USA? E allora gli oligarchi usano una rete che controllano. E dove censurano a piacere ciò che ritengono fastidioso o pericoloso per il loro dominio. Con l'appoggio, in Italia, di personaggi come Boldrine (plurale femminile) che invocano la censura di ogni opposizione. Beh, la Boldrine ha perfettamente ragione. Chi ha il potere non ha il benché minimo obbligo di condividerlo. Se gli oligarchi si creano una rete social e le opposizioni la utilizzano, perché mai gli oligarchi dovrebbero consentire la libertà di espressione? Se sono capaci, le opposizioni si creino una rete loro, se no tacciano. Al di là di cosa uscirà dal vertice del Pd, è evidente che sta per iniziare una lunga campagna elettorale. Amministrative in primavera in molte città, politiche a seguire. Il Partito Di Renzi avrà il sostegno della Rai, dei principali quotidiani, del Tg5 di Berlu pronto ad accordi. Le opposizioni metteranno in campo giornaletti per pochi intimi e utilizzeranno una rete pronta a censurare ciò che riterrà scomodo.  Inevitabile? Per nulla. Un quotidiano online fatto bene costa ormai davvero poco. Si paga solo la qualità di chi ci scrive. Dunque perché le opposizioni preferiscono spendere soldi in iniziative futili o inutili, per poi lamentarsi di non avere la possibilità di esprimersi? Forse perché una banale campagna di affissioni di manifesti banali impedisce di far emergere personaggi di qualità potenzialmente alternativi ai mediocri esponenti che guidano le opposizioni? Davvero è solo un problema di taccagneria e di mancanza di lucidità e lungimiranza? O le opposizioni preferiscono restare all'opposizione, con qualche poltrona in più, per paura di governare?

venerdì 17 febbraio 2017

Riforme obbligatorie? No, grazie

Tutti i cattivi contro il bugiardissimo dopo aver frenato le sue riforme. E' questo il fil rouge dei giornali di servizio, schierati a difesa dell'ex presidente del consiglio. Per una volta hanno persino ragione. Ovviamente non si chiedono le ragioni di questa levata di scudi contro le riforme. Anche perché i servizievoli giornalisti di regime, e soprattutto i direttori dei grandi quotidiani, fanno parte di quel sistema di potere che ha beneficiato delle riforme. Tutti gli altri no. E la rabbia generale è la conseguenza di questa situazione. La maggioranza degli italiani si è impoverita, è costretta a vivere in condizioni di minor sicurezza, i giovani vedono svanire le speranze per il loro futuro, i pensionati arrancano. Perché mai dovrebbero essere felici e sostenere le riforme? Solo perché i padroni possono licenziare liberamente? O perché curarsi costa sempre di più per servizi sempre più scadenti? O perché i salari si riducono, la precarietà cresce e la qualità del lavoro peggiora? Ma i direttori dei quotidiani, proprio quei direttori che hanno affossato i giornali trasformati in fogli di veline al servizio del bugiardissimo e dei suoi sodali, insistono. Vogliono convincere gli italiani che l'invasione è buona e fa bene, che gli stranieri hanno diritto a casa e lavoro mentre gli indigeni hanno l'obbligo di farsi da parte. Che gli estrogeni nelle carni americane sono il futuro insieme a vermi e cavallette. Basta con la vecchia cultura italiana, stantia e ammuffita. I bonghi al posto delle orchestre sinfoniche, la coca cola al posto del vino. Riforme e rottamazione di chi non si allinea. E se qualcuno vuole opporsi e votare contro, sarà bollato come populista ignorante, come webete, come analfabeta di ritorno e pure di andata. Gaber ironizzava sulla libertà obbligatoria, ora siamo passati alle riforme obbligatorie

giovedì 16 febbraio 2017

La scissione del Pd fa chiarezza. Servirebbe anche a destra

I giornali di servizio sono indignati per l'annunciata scissione del Pd. La Busiarda chiede, retoricamente, ai lettori se qualcuno ha capito i motivi per cui il Pd debba "andare incontro a una scissione devastante". Ed elenca i grandi successi ottenuti dagli ultimi governi a trazione Pd. Tra i grandi successi non figura nulla che possa essere considerato utile per la vita quotidiana di chi non fa parte dell'oligarchia che ha realmente devastato l'Italia. Ecco, le motivazioni della probabile scissione sono tutte qui: alla stragrande maggioranza del popolo italiano, non solo a quello del Pd, non frega assolutamente nulla del salvataggio di chi ha approfittato di Banca Etruria o di Mps. Non frega nulla dell'obbedienza alle imposizioni più assurde di Bruxelles o della Nato. Interesserebbe molto di più una politica che evitasse l'impoverimento progressivo dei ceti medi e la povertà assoluta di chi era già più svantaggiato. Interesserebbero politiche per il lavoro e non per i licenziamenti, per un salario adeguato e non per i voucher, per pensioni decorose e non per assegni incompatibili con una vita al di là della pura e semplice sopravvivenza stentata. Tutto quello, in pratica, che è mancato al Pd del bugiardissimo. Ed è per accodarsi a questo partito degli oligarchi che ci si avvia anche alla rottura delle alleanze sul fronte opposto. Berlu sta distruggendo il giocattolo che aveva creato, con la speranza di ritrovarsi nel club degli oligarchi per evitare che Mediaset venga scalata da Bolloré. Ma non è solo una questione personale. A favore dell'accordo con il Canada, che spalancherà le porte al Ttip mascherato, hanno votato gli europarlamentari di Forza Italia (e quelli del Pd) ed anche quelli di Fitto. E non va dimenticato che anche le destre sedicenti sovraniste e populiste avevano festeggiato la bocciatura del referendum sull'articolo 18. Al di là degli slogan, dei tweet, degli strilli, bisognerà che si cominci a far chiarezza anche sul fronte destro, non solo su quello sinistro. Chi sta con i voucher "allargati" e chi è contrario, chi vuole le tutele per i lavoratori e chi se ne frega, chi pensa ai banchieri e chi ai bancari, chi ritiene che la precarietà sia il simbolo di un roseo futuro e chi chiede più garanzie per giovani e anziani. Insomma, è arrivato il momento di fare chiarezza. Perché forse i 5 stelle sono in difficoltà e non avranno i numeri per governare, la sinistra è divisa e forse non si rimetterà insieme neppure per governare attraverso delle alleanze, ma la destra non può illudersi di governare mettendo insieme gruppi che non hanno nulla in comune al di là della voglia di poltrone.

mercoledì 15 febbraio 2017

Pil: finalmente ultimi in Europa

Bisogna ammetterlo: i giornali di servizio sono davvero bravi nel nascondere la realtà per favorire il bugiardissimo, Renziloni e le loro compagnie. Le previsioni europee sul Pil del 2017 collocano l'Italia all'ultimo posto per la crescita? E loro si entusiasmano, con grandi titoloni, sul boom del Pil italiano nel 2016, cresciuto addirittura dello 0,9% che, corretto, sale all'1%. Una meraviglia. Più che un boom sembra una leggera flatulenza, ma uno fa il giornalista di servizio apposta per trasformare un venticello in una tempesta. Dunque godiamoci la forte crescita dello scorso anno e mostriamo grande ottimismo per il 2017 che potrebbe chiudersi, addirittura, con un incremento del Pil del medesimo ordine di grandezza. Oddio, le previsioni europee sono leggermente più basse, ma non ci possiamo far condizionare da qualche decimale in meno. Fosse un decimale in più ci sarebbero le prime pagine a celebrare il trionfo, visto che è in meno si può sorvolare. Così come si sorvola, beatamente, sugli effetti della ripresa dell'inflazione. I prezzi della benzina e del riscaldamento sono tornati a crescere, le tariffe (dalle autostrade alle ferrovie) sono aumentate. Dunque l'inflazione cresce e, di conseguenza, cresce il Pil. Particolare su cui i giornali di servizio non si soffermano. Come non si soffermano sulle dichiarazioni del ministro Del Rio dopo il terremoto: la ricostruzione farà crescere il Pil. E lo fa crescere anche la spesa sempre più alta per far fronte al mantenimento dei migranti. Ma tutta questa maggior spesa non significa maggior ricchezza delle famiglie e dei singoli individui. Anzi, tra tasse, tariffe e aumenti vari, il benessere economico individuale si ridurrà ulteriormente. In attesa che la manovra correttiva richiesta dall'Ue peggiori ulteriormente la situazione. Tranquilli, però: in autunno sarà peggio, con la manovra per il prossimo anno. E' per questo che il bugiardissimo vuol votare subito: per avere, in autunno, già un governo in grado di piazzare i provvedimenti lacrime e sangue voluti da Bruxelles. Ovviamente i giornali di servizio sorvolano su questi aspetti. E l'opposizione si guarda bene dal mettere in campo una informazione alternativa, corretta. Alternativa anche al Tg5 che si è trasformato nell'ufficio stampa del bugiardissimo, tra entusiasmi per una crescita inferiore all'1% e dimenticanze su una Grecia sull'orlo della rovina ma che cresce a velocità tripla. Perché raccontare la situazione greca significherebbe far capire agli italiani il futuro a cui andranno incontro se accontenteranno Bruxelles e la Troika. Con il popolo alla fame ed i soliti cialtroni che si arricchiscono sempre di più facendo crescere il Pil e facendo aumentare la povertà.

lunedì 13 febbraio 2017

Il governo crea in periferie le riserve per i criminali

Il Daspo non funziona per i tifosi del calcio? Dunque esportiamolo in altri settori, così ci garantiamo il fallimento generale. Le nuove idee del governo in merito a quelli che vengono definiti come episodi di microcriminalità da chi non li subisce perché gira con la scorta, prevedono la buffonata delle espulsioni a tempo dai quartieri ricchi delle città. Dunque se imbratti i muri dei palazzi del potere non potrai più accedere al centro storico o nelle zone di pregio della città. Se urini o defechi per strada scatterà il confinamento in aree meno auliche. In pratica tutta la schifezza umana sarà deportata nelle periferie e nelle aree semicentrali, garantendo decoro e pulizia ai quartieri che, guarda la coincidenza, hanno votato per il Pd, da Roma a Torino. I quartieri dei bobo, dei radical chic, della gauche caviar. Gli altri si arrangino ed apprezzino il fascino della vita tra sporcizia e prostituzione, tra muri imbrattati e ubriachi. Il passo successivo sarà la blindatura dei quartieri per gli oligarchi. A spese pubbliche, ovviamente. Polizia e carabinieri schierati a difesa del fortino dei privilegiati. Sarà comunque divertente assistere alla gestione di questi provvedimenti da parte di una magistratura che, da decenni, si contraddistingue per la mancanza di tutela degli italiani onesti. L'accattonaggio fastidioso dovrebbe comportare il Daspo e l'espulsione dai quartieri privilegiati. Ma chi farà rispettare il provvedimento? Chi interverrà contro chi lo ignorerà? Gli stessi magistrati che ignorano, per i Rom, l'obbligo di far frequentare le scuole ai bambini? Che ignorano il divieto di accattonaggio con gli stessi bambini che non vanno a scuola? E chi punirà gli imbrattatori di muri considerati dalla gauche caviar come degli artisti che esprimono la loro creatività (purché lo facciano sui muri di altri palazzi)? E la violenza, lo spaccio, le rapine saranno atteggiamenti puniti al centro e tollerati in periferia? Rimettiamo anche i dazi, non per controllare le merci ma la dichiarazione dei redditi di chi pretende di entrare nelle aree riservate agli oligarchi. E concentriamo nei quartieri radical chic la pulizia delle strade e la raccolta dei rifiuti. Le periferie devono essere solo il luogo dove l'immondizia umana si riposa per poi defluire a far danni nelle aree semicentrali, quelle in grado di offrire ai criminali la possibilità di razziare utilmente negli alloggi degli anziani, senza rischio di Daspo o di altri fastidi.

venerdì 10 febbraio 2017

Festival e rigori per non pensare e per dividere

Durissimo scontro tra gli italiani. Quasi una guerra civile. Da un lato chi ritiene che il problema fondamentale del Paese sia il vincitore del Festival di Sanremo. Un vincitore che, ovviamente, dovrà essere politicamente corretto. Dall'altra gli italiani più impegnati e che, logicamente, si interrogano con preoccupazione sul futuro dello stadio della Roma. Poi, per fortuna, interviene Dibba e assicura che lo stadio si farà, in perfetta sintonia con tutte le marce indietro sull'urbanistica compiute dalla giunta Appendino a Torino. Bene, ora anche gli italiani più impegnati potranno dedicarsi al Festival, sostenendo Mannoia che è già sostenuta da De Filippi. Tutto il resto, fino a domenica, non conta. Poi, finalmente, ci si potrà occupare di calcio, degli arbitri, dei rigori. Mica ci si può indignare per un giovane disoccupato, ovviamente italiano, che si suicida. Meglio indignarsi di fronte alla moviola. E allora nell'acquario possono nuotare, tranquilli ed in silenzio, i pesciolini ed i pescecani del Pd, impegnati nel tira e molla del congresso anticipato. E mentre infuria la bufera su Raggi, passano nel silenzio assoluto i disastri compiuti dalla giunta e dal sindaco di Genova. Compagni che sbagliano, non è il caso di soffermarsi sulla vicenda. Più gustoso il pettegolezzo su presunti amanti del sindaco di Roma. D'altronde Genova è più piccola ed il suo destino, non solo politico, interessa solo ai genovesi. In teoria dovrebbe pure interessare a chi, come Toti, guida la Regione Liguria e potrebbe ritrovarsi, suo malgrado, a conquistare il capoluogo. Ma il leader del partito di Toti è già impegnato a riaccogliere tra le capienti braccia l'adorato figlio senza quid, quell'Alfano in cerca d'autore e, soprattutto, alla ricerca disperata di un seggio parlamentare. Branca, Branca, Branca, Leon, Leon, Leon! Una bella ammucchiata di personaggetti che si detestano ma che vogliono governare anche se non hanno una sola idea per cambiare una realtà sempre più tragica. E, prima o poi, il Festival finirà e non basteranno le liti sui rigori per far dimenticare a tutti che il baratro si avvicina. Si potrebbe persino teorizzare qualche colossale torto arbitrale per far scaricare le tensioni, almeno sulla Rete. Le destre, maggioritarie in molte curve degli stadi, litigano, si spaccano e si frantumano sugli arbitraggi, così non riescono ad accordarsi su qualcosa di più serio. Lo squallore degli insulti reciproci tra tifoserie è la più bella vittoria degli eurocialtroni di Bruxelles

giovedì 9 febbraio 2017

Prove di inciucio tra Berlu e Franceschini

Due indizi non fanno una prova. Però suscitano alcuni dubbi. E se Gianni Letta, l'uomo dei consigli sbagliati a Berlu, va a parlare con gli emissari di Franceschini e i sostenitori di Franceschini scrivono una lettera al Pd per chiedere di sostenere il governo evitando il voto anticipato, qualche collegamento tra i due episodi sorge spontaneo. Se poi ai due indizi se ne aggiunge un terzo, i dubbi si trasformano in quasi certezze. Il terzo indizio e' l'arrivo in Italia del presidente dei popolari europei, il raggruppamento di cui fa parte anche ciò che resta di Forza Italia. E cosa viene a dire l'amico francese? Che non è possibile una alleanza delle destre e del centrodestra con la guida di Salvini. E non per la persona in se', non andrebbe bene neppure Meloni, ma per la linea politica. Dunque l'ordine del Ppe è che Forza Italia non deve schierarsi dalla parte degli amici di Putin e Le Pen. Può, eventualmente, guidare la coalizione, ma a patto di snaturarla e di renderla succube ai voleri dell'Europa dei banchieri e dei burocrati. Oppure, ed è il consiglio vero, può accordarsi con il Pd per una nuova alleanza. Non più con Renzi, ma con Franceschini. Ma il bugiardissimo corre ai ripari ed inizia, con la collaborazione dei giornali di servizio, l'attacco a Franceschini ed ai suoi amici. Casualmente emerge il totale fallimento del bonus da 500 euro per la cultura giovanile. Un progetto del bugiardissimo, una delle sue mance. Ma si parla di cultura, dunque le colpe ricadono, nell'immaginario collettivo, su Franceschini. E dove non si può ordinare l'attacco, si impone il silenzio. Un giovane di 30 anni si uccide in Friuli in conseguenza delle fallimentari politiche del lavoro del governo nazionale e di quello regionale? La notizia viene confinata nelle pagine interne. La Serracchiani, presidente del Friuli Venezia Giulia, fa finta di niente. Il ministro Poletti, accusato con nome e cognome nella lettera di addio del suicida, se ne frega. E  Berlu, ovviamente, non infierisce sui futuri alleati

mercoledì 8 febbraio 2017

Grecia, Marocco, Catalogna, Francia: tutto si muove ma non in Italia

In Francia Marine Le Pen promette che, in caso di sua vittoria nella corsa per l'Eliseo, Parigi abbandonerebbe l'euro. E in Italia la Borsa cala e lo spread cresce. Qual è il nesso di causa ed effetto? Boh. Ma l'importante è che la colpa sia sempre di qualcun altro e non del governo Renziloni. Così, con l'occhio rivolto solo a Parigi, ci si può distrarre dall'insuccesso degli accordi raggiunti con la Libia: l'invasione prosegue, nonostante le chiacchiere. Tripoli blocca, in favore di telecamere, poche centinaia di migranti e, nel frattempo, l'Italia ne va a recuperare qualche migliaia. La sagra dell'ipocrisia. Intanto si sorvola sulle crescenti tensioni tra Barcellona e Madrid, con la Catalogna che non rinuncia al suo percorso verso l'indipendenza nonostante gli strilli dei magistrati di Madrid. E la Grecia scopre ciò che tutti sapevano tranne i giornalisti di servizio: il debito non può essere rimborsato. Dunque se Parigi minaccia di abbandonare la compagnia europea, Atene rischia di esserne buttata fuori. Putin osserva e ringrazia. E, sulla sponda sud del Mediterraneo si muove anche il Marocco. Con il re che si schiera apertamente contro il fondamentalismo, collocando Rabat tra i Paesi laici. E, tanto per ribadire la sua posizione nell'intera area, si schiera apertamente per una collocazione tra i Paesi africani e non tra quelli arabi. Tutto il Mediterraneo è in fermento, in movimento. Con l'eccezione italiana. Qui l'immobilismo è una virtù, la continuità è obbligatoria. E se il marcio progredisce e tutto infetta, pazienza. I problemi sono le nomine della Raggi, non la classe dirigente inetta ed incapace che si sta divorando il Paese. Le solite facce, i soliti figli di e nipoti di. Uno più disastroso dell'altro, ma nessuno fiata. Non bisogna disturbare i manovratori anche quando le manovre sono sbagliate. Si riesuma persino Prodi, il simbolo del sonno profondo dell'Italia. Ormai anche il Gattopardo è stato superato: bisogna che nulla cambi affinché nulla cambi. Basta con la farsa di un finto mutamento per nascondere l'immobilismo. Il coma profondo viene rappresentato come obiettivo primario da raggiungere. E il coma presuppone che non ci siano forze nuove, vitali a modificare la situazione.

martedì 7 febbraio 2017

Tra ignoranza e ipocrisia: il giornalismo italiano

I giornali italiani sono in profonda crisi. Sarà sicuramente colpa dei lettori, visto che in Italia gli analfabeti di ritorno stanno proliferando. Oppure sarà colpa dei giornalisti, categoria che vede una crescita esponenziale di analfabeti di ritorno proprio tra chi scrive? Perché non basta una Accademia della Crusca sempre più inutile e ridicola per giustificare il "te" al posto del "tu" diventato una costante del giornalismo televisivo. E l'ignoranza dilaga ad ogni livello ed in ogni settore. Si scrive di cose che non si conosce, si procede per luoghi comuni e banalità assortite. L'importante è che siano banalità politicamente corrette. Perché ai padroni dei giornali servono dipendenti asserviti, disposti a vendere la propria madre pur di tutelare un salario che, inevitabilmente, si riduce progressivamente perché si riduce il numero dei lettori e calano le inserzioni pubblicitarie. Forse qualcuno ha fatto un po' di confusione sul concetto di giornalisti come cani da guardia. Avrebbero dovuto montare la guardia a difesa dei lettori contro i poteri forti. Invece hanno capito che dovevano difendere i padroni dalla rabbia sacrosanta di un popolo che, di conseguenza, legge sempre di meno. Capita di confondersi. In buona fede, sia chiaro. La stessa buona fede che i giornalisti dimostrano sui loro blog, piagnucolando quando i poveri migranti sono costretti a buttare nell'immondizia i piatti di pasta italiana mentre loro preferirebbero il montone o il cous cous. Poi, con la coscienza ripulita, possono tranquillamente schierarsi con il padrone quando licenzia i colleghi scomodi. D'altronde non si può piangere per tutti. E se già frigni per i migranti, potrai almeno festeggiare per aver eliminato un po' di concorrenti sul posto di lavoro? In attesa che il padrone cambi cane da guardia e cacci anche il servitore politicamente corretto

lunedì 6 febbraio 2017

Il programma di Le Pen spiazza le destre italiane

Che fastidio Marine Le Pen. Inizia la campagna elettorale con un piglio da prima della classe e invece dei soliti slogan sfodera un programma da 144 punti. Per fortuna non tutti sono precisissimi, e questo permette alle destre italiane di tirare un sospiro di sollievo. Purtroppo, però, buona parte del programma è credibile, realistico, ben fatto. Condivisibile o meno, è un altro discorso. Quello che conta davvero è che una destra populista europea sia arrivata a realizzare un progetto di governo realmente alternativo. Fuori dall'euro, fuori (parzialmente) dalla Nato, piccoli dazi per tutelare l'industria nazionale e per far aumentare i salari dei lavoratori. Si è scomodato anche l'economista del gruppo De Benedetti-Elkann, Mario Deaglio (il marito della Fornero, tanto per chiarire), per avanzare dubbi e perplessità su questa frenata della globalizzazione criminale che ha distrutto le economie europee, a partire da quella italiana, con il consenso ed il plauso di ministri come Fornero. Una opposizione, quella dei clientes dei poteri forti, perfettamente logica e scontata. Probabilmente i disinformatori di professione non si aspettavano una simile prova di efficienza da parte di Madame Le Pen. E probabilmente non sarà neppure sufficiente al FN per vincere le presidenziali perché il liberista Macron godrà dell'appoggio dei banchieri, degli speculatori, della finanza che controlla tutti i media transalpini. Ed il centrodestra francese, come quello italiano, è troppo vigliacco per compiere una scelta coraggiosa e di reale cambiamento. Ma ad essere davvero spiazzata è la destra italiana, nelle sue varie componenti. Marine Le Pen si è affidata a gente competente per stilare il programma. Molti politici delle destre italiane avrebbero difficoltà persino a comprendere il significato di "stilare", figuriamoci a predisporlo, un programma. Quattro punti fatti scrivere dai figli degli amici, un po' di banalità condite da luoghi comuni. In Francia il FN si presenta in grado di governare un Paese, cambiandolo a livello economico, sociale, culturale. Dunque servono economisti, esperti di sociologia, intellettuali di varie discipline. In Italia le destre vanno in difficoltà non per cambiare radicalmente un Paese ma per cambiare le lampadine dei lampioni di un paese. Poi, magari, Marine Le Pen verrà sconfitta e, per qualche miracolo, le destre italiane vinceranno. Ma, come è avvenuto in passato, dimostreranno di non saper governare e tanto meno cambieranno l'Italia.

venerdì 3 febbraio 2017

Il bugiardissimo non si candida? Nessuno gli crede

"Potrei anche non candidarmi per la presidenza del Consiglio". Il bugiardissimo tenta di convincere l'ala sinistra del Pd ad evitare la scissione. Offrendo la disponibilità a riflettere sulla possibilità di un eventuale passo indietro. Ed è facile immaginare quanto possa essere stato preso sul serio da D'Alema, Bersani ed Emiliano. Lo stesso bugiardissimo che aveva promesso il suo ritiro dalla politica in caso di sconfitta al referendum, ora non arriva neppure alla promessa ma si limita ad una ipotesi. Credibile come una copiosa nevicata nel Sahara. Eppure il bugiardissimo non molla. E, anzi, approfitta delle difficoltà del governo Renziloni che è impegnato a turare alcune delle falle create dal governo Renzi: cioè le stesse persone che hanno provocato i danni, ora devono ripararli. Dunque, grazie alle mance elargite a tutti per motivi elettorali, ora bisognerà pagare di più la benzina. Ma non sarà un problema dei soli automobilisti. L'incremento dei costi di viaggio si riverserà sui costi di tutti i prodotti, l'inflazione tornerà a crescere ma non per effetto di un incremento dei consumi. Solo per effetto dell'incremento della spesa delle famiglie che, ovviamente, non vedranno crescere le retribuzioni. Un capolavoro del bugiardissimo, del lattaio Padoan, di Maria Elena Etruria, di Alfano. Tutti, a parte il premier che governa per interposta persona, rimasti al proprio posto, a far danni. Ma il bugiardissimo ha fretta di andare al voto. E ha fretta tutta quella parte del Pd pronta ad allearsi con Berlu per gestire il Paese. Gestirlo, non guidarlo. Bisogna arrivare al voto prima della manovra economica d'autunno. Quando si scoprirà che l'aumento della benzina e del carburante è solo un antipastino mignon rispetto alle stangate che ci aspettano per accontentare Bruxelles. Dunque meglio votare prima ed avere le mani libere per massacrare gli italiani. Se no, dopo una manovra lacrime e sangue, chi vorrà ancora votare per i responsabili della macelleria sociale? Per questo il bugiardissimo sarebbe persino disposto a non candidarsi per fare il premier. Purché si voti subito. Così il governo lo guiderebbe Gentiloni che si assumerebbe l'onere della macelleria sociale. A quel punto, di fronte alle proteste (le può sempre organizzare il bugiardissimo, se le destre ed i 5 stelle non sono capaci), Gentiloni sarebbe costretto alle dimissioni ed il presidente della repubblica potrebbe affidare l'incarico di nuovo a lui, il Bugiardissimo 2. Che sarebbe più forte, perché avrebbe blindato, alle elezioni di questa primavera, i suoi candidati, escludendo la maggior parte dei dalemiani e dei bersaniani. E i voti per gestire la macelleria sociale? Glieli fornirebbero le truppe di complemento di Berlu. In cambio di qualche sostegno a Mediaset nello scontro con Bolloré

giovedì 2 febbraio 2017

Tremonti torna in campo per guidare le destre?

Gli elettori di destre e centrodestra si sono stancati dei rispettivi leader. Non i militanti, ma gli elettori sì. Insoddisfatti della qualità umana di chi è stato promosso da caporale a colonnello senza averne le qualità, perplessi di fronte alla pochezza intellettuale di qualcuno e ai ridotti orizzonti di qualcun altro, disgustati da chi utilizza la scena politica per tutelare gli affari propri. L' ha capito benissimo Tremonti che, come la Fenice, è ricomparso sulla scena e si è dimostrato disponibile ad incontrare tutti i protagonisti di un'area estremamente rissosa. Interviste ovunque, convegni con chiunque. Intellettuale intelligente e preparato, non ha dimostrato le sue doti quando ha dovuto passare dalla teoria alla pratica nelle vesti di ministro. Ma le analisi restano sempre acute e interessanti. Ha persino smentito la frase che tutti gli hanno sempre rinfacciato: "Con la cultura non si mangia". Mai pronunciata, assicura. E' difficile immaginare che la sua ricomparsa sulla scena sia legata solo alla promozione di un libro nuovo. Il personaggio è intelligente e ha capito che la vasta area sogna un leader che non c'è. Lui, ovviamente, non accenna minimamente alla prospettiva. Saranno gli altri, eventualmente, a ricordarsi di lui, ad avanzargli richieste e proposte. E se Massimo Giannini va in tv e azzarda una (pessima) imitazione di Tremonti, significa che l'ex ministro comincia ad impensierire gli avversari. E poi, negli anni di potere, Tremonti era uno dei pochi in grado di rappresentare Forza Italia pur dimostrandosi sempre più vicino alla Lega. Ha anticipato le attuali posizioni di Toti, un altro che della cultura e degli intellettuali farebbe volentieri a meno. Ma Tremonti, suo malgrado, è un intellettuale. Economista di ottimo livello, scrittore. Forse una figura troppo lontana dalle esigenze dei quadri politici della vasta area. Quei quadri che si infastidiscono di fronte alle analisi del professor Tremonti sulle differenze tra mercatismo e mercantilismo. Peccato che siano concetti fondamentali per comprendere i cambiamenti mondiali. Ma ai quadri politici che operano sul territorio interessano di più i problemi delle buche stradali o dell'illuminazione a led. E non capiscono che il cittadino elettore, se deve scegliere sulla base dei led e delle buche, non voterà per destra o sinistra, ma per un sindaco elettricista o stradino. Se si rinuncia alla politica per l'amministrazione del quotidiano non serve Tremonti, non servono Salvini e Meloni. Basta un amministratore di condominio indicato da Bruxelles

mercoledì 1 febbraio 2017

Condannare gli oligarchi delle ferrovie? E' da populisti


Il fronte dei populisti si amplia. Secondo gli avvocati difensori al processo per le 32 vittime della strage di Viareggio, provocata da un treno, condannare chi allora era responsabile del settore ferroviario è un atto "populista". Gli oligarchi, in Italia, non devono essere processati e tantomeno condannati. I famigliari delle vittime? Si arrangino. Capita che un treno si guasti e provochi una strage, non è colpa di nessuno. Anzi, forse è colpa delle vittime che vanno ad abitare in case vicine alle ferrovie. E, in ogni caso, gli amministratori delle aziende devono essere sempre al di sopra di tutto e non possono essere infastiditi da sciocchezze come processi e tribunali. Ovviamente provvederà il processo d'Appello a ridurre le pene, in modo che i colpevoli non debbano essere scocciati con qualche giorno di carcere. Ed altrettanto ovviamente gli oligarchi condannati non dovranno rinunciare ai loro incarichi strapagati. D'altronde, in Italia, le ferrovie hanno già dimostrato di poter fare tutto ciò che vogliono. Cancellano i treni Frecciabianca e li sostituiscono con i Frecciarossa, più costosi, ma ovviamente da Milano a Venezia non esiste una linea dedicata all'alta velocità e, dunque, si viaggia sugli stessi binari di prima. E forse qualcuno ricorderà che quando gli italiani hanno dovuto pagare, con le proprie tasse, la costruzione dei binari per l'alta velocità, le ferrovie ed i politici avevano spiegato che il sacrificio sarebbe servito per togliere i Tir dalle strade e autostrade, spostando le merci sui treni. Quanti sono i treni merci sull'alta velocità? Zero. In compenso si tolgono i collegamenti "normali" per obbligare i pendolari a viaggiare sui Frecciarossa. E a quel punto, senza più alternative, si aumentano le tariffe per l'alta velocità. Il rispetto per i sudditi è inesistente. Ad Aosta, da oltre mille anni, a fine gennaio si svolge la Fiera di Sant'Orso che richiama quasi 200mila persone in due giorni. Con l'autostrada sempre più cara, i turisti viaggiano in treni dove passano ore stipati come sardine. Rafforzare il servizio? Magari sì, ricorrendo agli autobus, ma senza farlo sapere. Troppo fastidioso perder tempo ad informare i sudditi. Quelli che vengono presi in giro da avvisi con gli altoparlanti che informano su ritardi massimi di 30 minuti sulle linee mentre i tabelloni indicano ritardi superiori all'ora. Da Nord a Sud è sempre la stessa storia. Ma loro, i vertici, hanno sempre delle scuse, degli alibi. Pioveva, faceva freddo, faceva caldo, faceva tiepido. Tutte condizioni che rendono impossibile un servizio decente e puntuale. Ma non bisogna protestare, in caso contrario l'accusa di populismo è già pronta.