lunedì 21 novembre 2016

Per la Cina l'Italia è come l'Africa

La difficile trattativa per il passaggio del Milan in mani cinesi non è soltanto una vicenda calcistica e neppure una mera questione di affari. Perché le acquisizioni cinesi, e non soltanto cinesi, in un'Italia in svendita si stanno moltiplicando e pongono crescenti interrogativi. Negli Stati Uniti, infatti, Pechino si è comprata alcuni studi cinematografici e catene di sale per la proiezione dei film. Un investimento economico e finanziario, ma anche la strada migliore per conquistare le coscienze, per esportare negli Usa un modello cinese e per ribaltare l'american style esportato in tutto il mondo, Cina compresa. In Italia, invece, non si assiste a nulla del genere. Problemi di convivenza della China Town inserite in alcune città, problemi di concorrenza sleale per alcune attività, mancato rispetto di regole che vanno dagli orari di lavoro alle norme igieniche alimentari. Eppure gli investimenti non mancano. Con il salvataggio o la creazione di migliaia di posti di lavoro. Manca, però, un intervento a valle per raccontare ciò che viene fatto. Manca un coinvolgimento positivo delle popolazioni. Invece di puntare sul soft power utilizzato in America del Nord, pare che gli atteggiamenti in Italia assomiglino a quelli usuali in Africa, nelle regioni intere che i cinesi hanno acquistato. Non si sfruttano adeguatamente le possibili collaborazioni culturali - Marco Polo non andrebbe dimenticato, ma lo si ignora persino in Italia - non si dialoga. Pechino, in Italia, preferisce i rapporti di forza. Lo si è visto nelle ribellioni della China Town milanese contro la richiesta di rispettare le leggi ed i regolamenti italiani. Lo si vede a Prato, lo si vede nei troppi capannoni dove viene stipata merce irregolare prodotta in Cina e smerciata in Italia. E allora qualche domanda bisognerebbe porsela. Perché i cinesi trattano gli italiani come una colonia africana e riservano agli statunitensi atteggiamenti molto più rispettosi e collaborativi? Forse perché gli italiani hanno dimostrato di meritarsi una considerazione di questo tipo. Pronti a svendere tutto e tutti in cambio di un gruzzolo posato sul tavolo. Hanno venduto case e negozi, terre e industrie, porti e centri commerciali. La Penisola vale solo come ponte di passaggio verso l'Europa che conta. Un mega centro logistico privo di altro interesse. Qualche porto da rilanciare anche a costo di un maggior inquinamento, qualche linea ferroviaria strategica che punti verso nord, manodopera a buon mercato. Magari anche qualche località turistica da visitare e da tutelare per il piacere del visitatore asiatico. Da tutelare sino a quando non verrà considerato più utile distruggere tutto per realizzare un'autostrada o una nuova ferrovia, un centro commerciale o un'industria. Come in Africa, come in Ecuador. Pecunia non olet, in fondo il cattivo esempio mondiale l'ha dato proprio Roma.

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