mercoledì 26 giugno 2013

La Cara Salma non vuole che i politici pensino

La Cara Salma torna sulla scena. In carenza da esposizione mediatica, ha voluto essere nuovamente protagonista. E ha bacchettato i politici. Perché? Perché provano a fare politica, perché provano a confrontarsi sulle idee, perché provano a non accettare una logica fatta di sentenze giudiziarie già scritte e di imposizioni internazionali sull'economia. Ma tutto ciò, alla Cara Salma che si sente Re d'Italia, non piace. Perché mai si devono avere delle idee quando sua maestà pensa già per tutti? Perché mai si devono proporre tagli agli sprechi militari, quando gli Usa hanno già deciso che i soldi tolti ai lavoratori ed ai pensionati italiani devono essere utilizzati per acquistare aerei made in Usa e che, anche a regime, saranno controllati dagli americani? Perché mai si deve protestare per sentenze indecenti o patetiche, quando il sistema italiano deve essere basato su un Re che comanda attraverso il potere giudiziario? E guai a fare arrabbiare la Cara Salma o i suoi esecutori: se non si aggiunge anche il potere repressivo. Galera per chi critica, lacrimogeni per chi protesta. Ma candelotti democratici, mica come quelli di Rio de Janeiro o di Istanbul. D'altronde l'ex sostenitore dei carri armati sovietici impegnati nell'invasione dell'Ungheria, trasformato in un migliorista di terza fila ma con l'amore per Washington, è stato ricollocato al Colle senza condizioni. Una resa totale. E la Cara Salma ne approfitta. Con l'appoggio, altrettanto incondizionato, dei giornalisti quirinalisti. Quelli sì che san fare il loro mestiere: mai una critica, mai un dubbio, mai una perplessità sui comportamenti di sua maestà. E chi dubita è cattivo, antidemocratico, populista, turco o brasiliano, russo o argentino. Il gioco, indubbiamente, riesce bene alla Cara Salma. Ed i pochi che osano pensare, si ritirano immediatamente, in buon ordine, al primo sospiro infastidito del Re. Vietato pensare, vietato disturbare. Ma forse è quello che i politici sognano davvero: un Re. Tanto è vero che nel Pdl, dopo la raffica di interventi della magistratura contro il loro Re Silvio, si pensa già alla successione. Dinastica, ovviamente. Con Marina Berlusconi al posto del padre. E poco importa che l'erede, impegnata nelle aziende di famiglia (comprese quelle che han trasformato in autori famosi dei modesti scribacchini con l'unica qualità di essere nemici di Silvio, pagati da Silvio), annunci di non essere interessata. Perché, in una monarchia, mica si chiede il consenso al principe ereditario. E poi se Jean Marie Le Pen è riuscito a lanciare la figlia Marine, e pure la nipote Marion, con risultati straordinari, perché il Pdl non può ripetere il miracolo? Si chiamano entrambe Marina, sono entrambe figlie del capo e fondatore, mica servirà qualcosa di più? Tipo programma politico? Tipo idee? Tipo un partito efficiente e con personale capace? No, non son mica questi particolari che garantiscono il successo. Basta un cognome, e magari pure il nome. Tutto il resto è noia.

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