martedì 17 ottobre 2017

La prostituzione cerebrale è peggio delle attrici in vendita

Una fissazione per il sesso. Non quella del produttore cinematografico americano accusato di stupri, ma quella dei media e dei sostenitori del politicamente corretto. Ottenere un ruolo in un film in cambio di prestazioni sessuali è considerato uno stupro mentre ottenere un lavoro normale in cambio della violenza sul proprio cervello è considerato giusto. Si può vendere il pensiero, si possono vendere le braccia o le gambe, nel caso dei calciatori, ma guai a cedere il basso ventre. Scatta il tabù. Nessuna indignazione nei confronti del datore di lavoro che pretende di controllare la mente del dipendente. Nessuna indignazione contro le imposizioni, nei giornali e in tv, di violentare la lingua italiana con parole come sindaca e assessora o di censurare la provenienza straniera dei criminali. Nessuna indignazione contro chi provoca malattie professionali obbligando gli operai a gesti ripetitivi per anni ed anni. O contro chi rovina caviglie e ginocchia degli atleti per ottenere risultati strepitosi fregandosene della salute. Tutto è in vendita, tutto è acquistabile. Senza dimenticare chi giustifica l'inquinamento, con tutte le malattie anche mortali che provoca, con la scusa che è inevitabile se si vuole avere industrie e lavoro. Però scatta l'indignazione se una aspirante attrice viene obbligata a prestazioni sessuali in cambio di un ruolo strapagato in un film. Indignazione in ambo i sensi. Da un lato chi strepita contro il ricattatore che approfitta della sua posizione di forza, dall'altra contro chi si vende fregando in questo modo la concorrenza meno disponibile o meno attraente. Ma le molestie non sono limitate al mondo del cinema. E non sono soltanto sessuali. In ogni attività si presentano i medesimi rischi, c'è sempre uno con una posizione di forza ed un altro in situazione di dipendenza e di debolezza. Si cede per disperazione, per bisogno, per mancanza di alternative. Oppure si resiste, scegliendo di rischiare di perdere un lavoro o di rinunciare alla carriera. La dignità non è per tutti, e neppure la libertà. Ma un'attrice che vende il suo basso ventre al produttore fa sicuramente meno danni di un sedicente intellettuale che mette a disposizione il suo cervello per sostenere le tesi di chi lo paga.

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