martedì 9 luglio 2013

Italia in svendita. Capitalismo da ultimi della classe


Anche Loro Piana. Dopo Bulgari, dopo Parmalat, dopo Gucci, dopo Ginori. Un elenco sempre più lungo di aziende italiane che sono passate nelle mani degli imprenditori francesi. Per non parlare, poi, di quelle imprese acquistate da russi (Gancia), indiani, brasiliani, cinesi, tedeschi. E si tratta di aziende, non di marchi. Perché i nuovi proprietari continuano a produrre in Italia. Dove i loro colleghi italiani assicurano di non poter produrre perché la burocrazia, perché il costo dell’energia, perché i sindacati, perché le tasse. E così sono costretti a vendere, spesso in cambio di grandi montagne di denaro. “Perché così non si può andare avanti, non si può fare impresa”. Appunto. I francesi, ma anche i tedeschi, i cinesi, i russi, comprano e fanno impresa qui. Con il nostro costo dell’energia, con i nostri tempi eterni della giustizia civile, con i nostri sindacati, con le nostre tasse. Dunque si può. Si può investire, mentre i nostri grandi industriali si fanno intervistare dal quotidiani per affermare che bisogna poter licenziare senza problemi. Si può assumere, e lo fanno i tedeschi che hanno comprato Italdesign-Giugiaro, mentre le interviste degli imprenditori italiani servono per chiedere flessibilità totale nei confronti dei giovani da inserire in azienda. Piangono, i nostri imprenditori, per la mancanza di idee dei dipendenti e non si accorgono che i giovani e meno giovani con idee lavorano per aziende estere che pagano molto di più perché le idee le apprezzano, le utilizzano e le premiano. E non si tratta, ovviamente, di benefattori ma, semplicemente, di imprenditori che non hanno trasformato il “braccino corto” in una giustificazione morale ed in una strategia industriale. Così i francesi rafforzano la loro leadership nel mercato del lusso acquistando le imprese italiane, perché il made in Italy ha ancora più fascino rispetto ai manufatti transalpini. Che si tratti di abbigliamento, di design, di gioielli, di arredo per la casa, di vini, di latticini: cinesi e tedeschi, americani e russi fanno affari laddove i nostri rischiavano la chiusura o, come per Loro Piana, non avevano la forza o la volontà di crescere ancora. Ma domani è un altro giorno. E si tornerà a piangere per l’Imu sui capannoni o sulle difficoltà di licenziare un lavoratore che ha 30 anni di anzianità ma costa più di un precario

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