martedì 10 settembre 2013

L'integrazione a senso unico del ministro numero

Una dottoressa bergamasca si ferma per soccorere un extracomunitario massacrato da suoi connazionali. E viene uccisa anche lei. Interventi del ministro per l'integrazione? Macché. La signora è troppo occupata con visite alla nazionale di calcio o con il fondamentale problema dell'eliminazione dei termini di mamma e papà per sostituirli con "genitore 1" e "genitore 2". In attesa che anche lei, la signora, diventi "ministro 9" o "ministro 10", anche se il suo superego le farebbe richiedere "ministro 1 e unico". D'altronde da quando il ministro numero è piombato in questo governo non è che si siano visti grandi passi sul fronte dell'integrazione. Forse perché esiste un equivoco linguistico. Integrare non significa che chi arriva ha tutti i diritti e nessun dovere. E chi viene invaso ha solo doveri e nessun diritto. Ma questo, al ministro numero, deve essere sfuggito. Come è sfuggito che i suoi interventi sempre a senso unico servono solo a creare tensioni, rabbia, frustrazione. Mai che il ministro numero si sia degnato di andare tra gli immigrati che delinquono per dire "basta". Troppo facile andare tra gli stranieri onesti e complimentarsi. Quelli onesti e che lavorano sono già integrati, non hanno bisogno del ministro numero. Rispettano il Paese che li ha accolti, non impongono le loro tradizioni (che, giustamente, conservano ma senza pretendere che diventino un obbligo per gli italiani) e comportandosi in questo modo ottengono il rispetto, l'amicizia, la solidarietà. Ma gli altri? Quelli che, in tutte le più grandi città italiane, stanno appoggiati ai muri per controllare il territorio, per organizzare lo spaccio, per sfruttare la prostituzione? A loro servirebbero le parole del ministro numero. Forse basterebbero 3 sole parole: "via da qui". Senza stupidi pietismi nei confronti di bastardi assassini, senza comprensione nei confronti di criminali spacciatori e sfruttatori. Ma il ministro numero preferisce perder tempo per capire chi, tra padre e madre, deve diventare "genitore 1" e chi dovrà accontentarsi del numero 2. In attesa che anche i bambini siano obbligati a non utilizzare più i termini mamma e papà. Così obsoleti, così eurocentrici, così poco multietnici. Già, anche il popolo Quechua (che proprio europeo non è, ma non ditelo al ministro numero) dovrà adattarsi, eliminando il fastidioso termine di Pachamama e trasformandolo in Pachagenitore1 (o 2). Questa sì che è integrazione!

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